Futuro

Le imprenditrici self-made sui social

Un’idea brillante, la voglia di creare un brand proprio. E la scelta di lanciarsi attraverso una piattaforma social: Instagram. Sono sempre di più le micro imprese che nascono o prendono il volo così. Vi presentiamo la prima tappa di un viaggio per conoscerle
Caterina Tarquini
Caterina Tarquini giornalista
Tempo di lettura 6 min lettura
30 aprile 2022 Aggiornato alle 17:00

Secondo UnionCamere, nel primo trimestre del 2021 più di 1.330.000 imprese erano guidate da una donna: stiamo parlando di circa 1/5 del sistema produttivo italiano, sebbene sia un fenomeno perlopiù concentrato in alcuni settori e comparti di attività.

Il confronto con la situazione a fine 2019 mostra un andamento sostanzialmente stabile: in due anni, le imprese femminili sono aumentate dello 0,19%, con un incremento di 2.569 unità. Tuttavia la maggior parte dei progetti imprenditoriali al femminile riguardano il wellness, la moda, l’istruzione, la cultura e il turismo.

In questo panorama, si stanno facendo notare piccole e medie realtà che hanno trovato nei social network, in particolare Instagram, un trampolino di lancio, una vetrina grazie alla quale costruire la propria clientela e la propria storia imprenditoriale.

Abbiamo deciso di raccontare chi sono, come è nata la loro idea, qual è la formula del successo, così come gli ostacoli di far decollare un’attività basandosi quasi del tutto sui canali social.

Sarà un viaggio in più puntate. Questa è la prima tappa e parte da 3 brand di moda: Le Conturbanti, Gaia Segattini e Clotilde.

Le Conturbanti, @leconturbanti

L’idea di fondare Le Conturbanti è nata per caso, da una soluzione semplice ma efficace a un piccolo inconveniente quotidiano. “Ci piaceva indossare e annodare foulard sulla testa, per raccogliere i capelli, ma non eravamo mai soddisfatte del risultato. L’acconciatura ovviamente non durava mai per tutta la giornata e il tessuto tendeva sempre a scivolare giù”, raccontano Marta Vit e Stefania Marcon, creatrici del brand. Inizialmente, conducono qualche esperimento creativo e inventano un foulard con un ferretto estraibile, da utilizzare sia nel modo più classico, annodandolo intorno al collo, sia come una sorta di turbante.

Un’attività iniziata come un hobby, relegata al fine settimana, dopo il lavoro, tra i mercatini del Veneto e del Friuli con il loro banchetto di merce homemade, e divenuta solo 5 anni dopo un vero e proprio brand, con l’apertura del primo negozio concept store a Portogruaro, in provincia di Venezia.

Il vero cambio di marcia è avvenuto, però, con la prima ondata della pandemia. “Ci siamo rimboccate le maniche e abbiamo lavorato duramente, mettendo su il sito e lo shop online e integrando l’offerta con nuove creazioni e modelli”. Un momento di difficoltà che si è trasformato in un’occasione di crescita per il progetto, che infatti nel giro di 2 anni ha registrato un boom di vendite.

Tra i prodotti più apprezzati, rimangono al primo posto i turbanti – accessorio a cui è ovviamente ispirato il nome del brand – ma anche kimono e abiti stravaganti suscitano sempre grande entusiasmo nella loro community.

Gaia Segattini, @gaiasegattini

Gaia Segattini, su Instagram @gaiasegattini, porta avanti una startup manifatturiera, la GSK (Gaia Segattini Knotwear). “Analizzando il mercato, mi sono resa conto che esistono due tipologie di prodotto nel campo della maglieria: capi fantasiosi, ma scadenti, oppure basici ma di ottima qualità”.

Con questi presupposti, comincia a produrre nel 2018 i primi modelli, utilizzando filati di giacenza, derivanti da produzioni eccessive dei grandi marchi o da maglierie in procinto di chiudere.

Servendosi perlopiù di cotone rigenerato, lana shetland, mohair e alpaca, realizza circa 10.000 capi all’anno, semplici, ma contraddistinti sempre da un tocco di originalità. Tra i maglioni più venduti vi è, per esempio, il modello “Bloom” con fiori applicati all’altezza delle spalle.

Puntare all’effettivo utilizzo, spiega Gaia Segattini, è un obiettivo rivoluzionario. Di fronte ad armadi pieni di vestiti che nel giro di un anno verranno buttati o nel migliore dei casi, giaceranno inutilizzati nel fondo dei cassetti, la società benefit GSK si propone di fidelizzare i propri clienti con capi destinati a diventare degli evergreen.

Il progetto ha visto un boom di vendite sin dal primo anno, tanto che l’imprenditrice ha dovuto affrontare alcuni problemi organizzativi. “La prima vendita è avvenuta con soli 40 capi, spariti in 5 minuti d’orologio” racconta. “Nei primi due anni abbiamo duplicato il fatturato, ma al contempo le materie prime non erano sempre disponibili, nei colori o nelle tempistiche necessari: abbiamo dovuto razionalizzare”.

Se dovesse fornire qualche consiglio per lanciare un’attività imprenditoriale di questo tipo, suggerirebbe innanzitutto di compiere un attento studio di mercato e appoggiarsi a una rete di contatti nel settore di interesse. “In questo momento mettere in produzione qualcosa che c’è già o qualcosa di cui non si ha bisogno non è un’opzione praticabile”.

Da parte sua, scrive sui portali e divulga di sostenibilità tessile dal 2007. Consiglia, quindi, di “trovarsi” un pubblico e lasciarsi influenzare dai suoi gusti e dalle sue esigenze, per mettere in produzione qualcosa che sia rispondente ai bisogni reali della clientela. Un’operazione agevolata dalle piattaforme social che consentono di attirare persone che condividono i nostri stessi valori.

Clotilde, @clotilde.official

Abiti trasformabili. Sono queste le 2 parole d’ordine per Clotilde, brand di moda che prende vita nel 2003 dal progetto di Costanza Turchi e Silvia Bartolini. L’idea di partenza, infatti, è che i vestiti e gli abiti cuciti e confezionati dalle grandi case di produzione siano scomodi e a volte addirittura investibili. “Il nostro intento”, spiegano “era di raccontare con gli abiti il nostro mondo, fatto di tante contaminazioni diverse e allo stesso tempo creare abiti da abitare senza una ‘data di scadenza’ o una stagionalità.”

Un sodalizio creativo e imprenditoriale ormai ventennale. Costanza e Silvia si sono conosciute tra i capannoni pieni di tessuti di Prato, “la città dei telai, dei filati, dei cenciaioli” e da lì non hanno mai smesso di lavorare assieme, di decostruire le forme e le geometrie degli abiti, per inventarne di nuove, a partire dai tessuti di scarto. “Rovistando tra i vestiti vecchi accatastati, abbiamo imparato a toccare la materia delle nostre idee, cercato le storie dietro le stoffe e tentato di tessere le nostre.”

I primi passi nel vintage, con due macchine da cucito, lo stretto indispensabile per fondare la società e la realizzazione di pezzi unici, poi i problemi legati alla produzione in serie, le tempistiche e le quantità richieste dagli showroom e dal mercato.

Il salto di qualità avviene con l’apertura del sito e dei profili social e quindi la vendita diretta al consumatore finale, non più con l’intermediazione di boutique e negozi sparsi sul territorio.

Dopo le difficoltà iniziali e i tentativi di entrare nel frenetico mondo della moda, tra fiere e scadenze, collezioni e ritmi serratissimi, decidono infatti di acquistare solo tessuti di giacenza, produrre collezioni piccole, quasi edizioni limitate, e di raccontarle e venderle direttamente al cliente attraverso le piattaforme social e il sito.

Tra i capi più amati, i “Trasformabiti”, vestiti indossabili in modi diversi ed etichette che illustrano tutte le vestibilità possibili, con volumi, lunghezze, linee, abbottonature e versi che possono cambiare e adattarsi all’occasione o all’umore. Ma anche i “Basici”, la linea di capi per tutte le stagioni, che permettono libertà di vestire e di movimento.

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