Ambiente

Bruci la città, e crolli il termovalorizzatore

Certe volte il meno peggio è meglio del nulla. E tuttavia i compromessi, quando si parla di rifiuti, sembrano impossibili. Ma perché?
Cristina Sivieri Tagliabue
Cristina Sivieri Tagliabue direttrice responsabile
Tempo di lettura 4 min lettura
23 aprile 2022 Aggiornato alle 07:00

Non se ne esce. Ogni volta che un sindaco cerca la soluzione a un problema di Roma si scatena un dibattito che manco in un condominio. D’altronde, i cittadini romani, allenati da migliaia di anni di politica, sono dialetticamente fortissimi. E trascorrono il tempo perennemente occupati nel commento.

E questa è una cosa bella di Roma, perché il livello culturale del débat publique è sempre alto. E questa è una cosa brutta di Roma perché, qualsiasi cosa accada, il cittadino, il comitato, il detrattore contro c’è sempre.

Per non parlare del fatto che quando si parla di Roma spesso si apre la parentesi Paese. E allora, se i piccioni di Milano sono un problema di Milano, la monnezza della capitale è la monnezza d’Italia. È il problema dei problemi. È la metafora dell’incapacità di governare una metropoli a partire dai suoi scarti. E se spesso non è possibile non litigare sulle cose che desiderano tuttə, figuriamoci sulle cose che non vuole nessuno.

Sui rifiuti, diciamolo, ci scorniamo parecchio. E il costo economico per la città di questo strazio è - ogni giorno - circa 600.000 euro in fornitori che operano in tutta Italia. Un po’ tantino, no, per non avere un sistema “pulito” di smaltimento dedicato.

Poi c’è un costo sociale che deriva dal fatto di non avere una soluzione. Ovvero il fatto di avere periferie sempre più maleodoranti, cinghiali e gabbiani alla ricerca di nutrimento ,e diseducazione alla raccolta differenziata.

Basti dire che già oggi, che si dovrebbe differenziare tutto il tessuto nei raccoglitori gialli (che non servono solo per il riciclo degli abiti, ma proprio come destinazione di tutto il mondo dei tessuti) non funziona. E che la raccolta differenziata dipende strettamente dalla “vicinanza” delle persone al cassonetto. Lo dicono fior di ricerche. Più il cassonetto è lontano, più scema il desiderio di impegnarsi nel differenziare.

Non si capisce, poi, come mai a Milano i cassonetti e tutta l’operazione della raccolta si svolga all’interno delle zone comuni dei palazzi, mentre a Roma ci siano cassonetti liberi nelle strade. E anche questo è un costo sociale, anche se è tutt’altra storia.

Infine, il costo politico dei rifiuti. Un costo pagato da tutti gli amministratori locali, a Roma nelle scorse legislature come a Napoli, anni fa. Ricordiamo tutti quando Pecoraro Scanio, leader dei Verdi, si oppose ai termovalorizzatori in Campania, sostenendo che se fossero stati fatti la raccolta differenziata non sarebbe mai partita per non sottrarre volumi all’impianto.

Il risultato è quello che ricordiamo tutti. Napoli come Calcutta a cielo aperto: le foto della città con i rifiuti che arrivavano al secondo piano delle abitazioni fecero il giro del mondo.

Forse i termovalorizzatori di nuova tecnologia sul modello svedese - ne parla Fabrizio Papitto oggi, spiegando bene il tema - non saranno il massimo, ma certo possono aiutare un momento di transizione per la città necessario. Perché oggi, Roma, differenzia poco e smaltisce ancora meno. Ci vorranno 4 anni prima che il processo si realizzi. Tempo per commentare ce ne sarà. Ma la domanda giusta da porsi non è se il termovalorizzatore inquini, ma se fa diminuire l’inquinamento complessivo.

Come non ricordare quello che disse il prof Matteo Giuliani, founder dell’Environmental Intelligence Lab al Politecnico di Milano: “C’è più inquinamento in 15 minuti all’ora di punta sul Lungotevere che in un mese ai piedi del termovalorizzatore di Parigi”.

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