Ambiente

Perché gli insetti stanno scomparendo

Nature lancia l’allarme sulla perdita di impollinatori e altri organismi viventi fondamentali per le colture. Ma nel buio della crisi c’è un segnale di speranza
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24 aprile 2022 Aggiornato alle 20:00

Poco tempo fa, parlando della scomparsa di tre quarti degli insetti volanti, alcuni scienziati ritenevano che era in corso un “armageddon ecologico”. Da allora, dagli studi del 2018 che raccontavano la perdita di biodiversità e di creature fondamentali come a esempio gli impollinatori, così come di tanti altri insetti che semplicemente “non vediamo più nemmeno abbattersi contro i finestrini delle auto”, poco è cambiato.

Anzi, i segnali restano allarmanti: secondo un nuovo studio pubblicato su Nature da un team internazionale di ricercatori, a causa della crisi climatica e dell’agricoltura intensiva le popolazioni di insetti stanno precipitando di quasi la metà, rispetto ad aree che sono meno colpite da questi fattori. Dove le temperature sono più elevate, come ai tropici, e dove l’agricoltura intensiva che comporta grandi quantità di fitosanitari e pesticidi è presente, ci sono infatti sempre meno insetti.

Non solo cala il numero delle popolazioni, ma anche le specie, con una perdita di circa il 27%. Le riduzioni si verificano soprattutto ai tropici, ha spiegato Charlie Outhwaite, ricercatore del Center for Biodiversity and Environmental Research dell’University College London, autore dello studio. Questa perdita di quasi la metà degli insetti dovuta a crisi climatica e agricoltura intensiva, oltretutto secondo gli esperti potrebbe essere sottostimata.

Molti dati si basano infatti sul confronto fra aree fortemente colpite da questi fattori e altre invece ritenute più incontaminate, e anche secondo i ricercatori perfino queste ultime nel tempo potrebbero essere facilmente soggette per esempio all’aumento delle temperature o azioni dell’uomo.

Lo studio, per arrivare a queste conclusioni, si è basato sull’analisi di circa 18.000 specie, dalle api alle farfalle sino ai coleotteri e comprende dati che arrivano da 6000 diverse località molti dei quali raccolti fra il 1992 e il 2012. Ad allarmare, come già sostenuto nei precedenti studi che raccontavano il declino degli insetti, c’è il fatto che oggi circa tre quarti delle oltre 100 colture alimentari globali più importanti dipendono proprio dall’impollinazione animale, inclusi per esempio cacao, caffè, mandorle o ciliegie.

Gli insetti sono decisivi sia in termine di impollinazione ma anche come controllo dei parassiti oppure per garantire le funzioni e la fertilità dei suoli. Dai ragni alle coccinelle, diversi insetti sono responsabili inoltre nel “frenare” l’azione di altri considerati nocivi per le coltivazioni. Infine, molte specie risultano cruciali anche per la decomposizione e il ciclo dei nutrienti oppure per garantire la vita di uccelli e altri animali che si cibano di loro.

Di conseguenza, questa perdita, avrà nel tempo conseguenze nefaste: «Sappiamo che non puoi semplicemente continuare a perdere specie senza, in definitiva, causare un esito catastrofico», ha detto per esempio Tom Oliver, professore di ecologia applicata all’Università di Reading.

Anche nel buio della catastrofe c’è però una luce di speranza. Un esempio arriva dall’osservazione da parte dei ricercatori di aree prive di agricoltura intensiva, dove si praticano coltivazioni con poche sostanze chimiche e monoculture e generalmente circondate da almeno un 75% di habitat naturale: ecco, qui il calo dell’abbondanza di insetti è stato registrato soltanto intorno al 7%.

Visti i dati preoccupanti è un segnale incoraggiante. Un risultato, quello osservato, che fornisce speranza per progettare nuovi paesaggi dove produrre cibo lasciando comunque prosperare la biodiversità.

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