Diritti

La Francia diventerà ecologista? Probabilmente, no

Né Emmanuel Macron né Marine Le Pen (definiti rispettivamente da Liberation il “tiepido” e “il nulla”) garantiscono che i prossimi 5 anni saranno nel segno dell’ambiente. A meno che nelle piazze tornino gli attivisti del clima e in parlamento i Verdi
Il presidente francese Emmanuel Macron a Marsiglia.
Il presidente francese Emmanuel Macron a Marsiglia.
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21 aprile 2022 Aggiornato alle 06:30

In quello che rimarrà come il suo unico grande meeting elettorale in vista del secondo turno delle elezioni, sabato 16 aprile, il Presidente Macron, in maniche di camicia in mezzo a bandiere sventolanti e folla entusiasta sotto il sole di Marsiglia, ha voluto centrare il suo messaggio su un tema poco presente nella campagna elettorale francese, la crisi – o come si dice in Francia con una espressione molto efficace e di difficile traduzione - lo “sregolamento” climatico.

“La politica che verrà sarà ecologista o non sarà” ha proclamato, promettendo che, se verrà eletto, nominerà unə Primə ministrə che si occuperà direttamente della “programmazione ecologica”, assistitə da altri due ministrə, unə alla programmazione energetica, l’altrə alla programmazione territoriale, e che avrà come priorità assoluta l’economia circolare e un’agricoltura sostenibile.

L’evento era finalizzato a recuperare un elettorato giovane e molto molto deluso dal bilancio verde del suo primo quinquennio, caratterizzato dalle dimissioni, pochi mesi dopo essere entrato in funzione come ministro della Transizione ecologica, dell’ecostar Nicolas Hulot; elettorato confluito in gran parte fra i sostenitori di Melenchon e in proporzione minore fra gli elettori del candidato ecologista Yannick Jadot. Puntare sull’ecologia ha anche permesso a Macron di sottolineare una delle maggiori differenze con la sua rivale Marine Le Pen, fautrice di una bizzarra “ecologia nazionale” e sicuramente clima-scettica, e gli fornisce una delle chiavi per distogliere l’elettorato di sinistra ed ecologista dalla tentazione di fare prevalere la grande ostilità verso di lui rispetto ai rischi di consegnare il Paese all’estrema destra. Insomma, nonostante si sia parlato pochissimo di ambiente e clima durante la campagna presidenziale, sbaglierebbe chi pensasse che il clima sia un tema marginale.

Infatti, rispetto all’Italia, l’elettorato francese ha una maggiore sensibilità, dispone di una migliore informazione sulla sfida climatica, e ha dato negli anni fiducia in particolare ai Verdi che oggi guidano coalizioni che governano città importanti come Lione, Bordeaux, Strasburgo, Grenoble e hanno avuto un ruolo determinante nella svolta verde di Parigi. Lo stesso Melenchon ha operato una decisa virata dal rosso al rosso-verde, costruendo un discorso ecologista radicale e convincente che è risultato in grado di rappresentare meglio rispetto al candidato dei Verdi Yannick Jadot la necessità di un voto utile rispetto alla moltiplicazione dei candidati alla sinistra di Macron. In sostanza, moltə elettorə ecologisti hanno guardato i sondaggi che suggerivano un largo vantaggio di Melenchon su Jadot e hanno scelto di votare il primo sperando di farlo arrivare al secondo turno, risultato mancato veramente di poco.

Per i Verdi francesi (EuropeEcologie-LesVerts) si è trattato di un primo turno molto amaro, soprattutto considerando che alle elezioni europee del 2019 erano diventati il terzo partito con oltre il 13% dei voti, contro poco più del 6% de La France Insoumise di Melenchon, e che nelle amministrative del 2020 avevano trionfato in numerosissime città grandi e piccole in tutto il Paese. Questo non è stato sufficiente a fare emergere Yannick Jadot nel corso della campagna come l’elemento aggregante del voto di sinistra e bisognerà vedere se questo risultato deludente avrà anche un impatto negativo sulle elezioni legislative di giugno, che definiranno i rapporti di forza fra le varie forze politiche in Parlamento. Ci sono almeno tre ragioni che spiegano questo risultato (4,7%) che tra le altre cose obbliga il partito a una frenetica campagna di raccolta fondi dato che solo se il candidato o la candidata supera il 5% il partito ha diritto al pieno finanziamento delle spese elettorali.

La prima è che, da sempre, la campagna presidenziale non è “adatta” ai Verdi, ai loro metodi e contenuti, difficilmente riassumibili in slogan e proposte semplici e liberatorie tipo “no ai migranti”, che rifiutano una visione troppo centrata sul “capo”; anzi, gli ecologisti francesi hanno una lunga storia di furiose divisioni interne appunto per impedire l’emersione di leadership forti, al contrario della France Insoumise che ha nella campagna presidenziale la dimensione perfetta per il suo leader-tribuno Melenchon.

Il candidato verde Yannick Jadot, eurodeputato di lungo corso e ex presidente di Greenpeace Francia, ha fatto una campagna cercando di accreditarsi come serio e credibile, rinunciando ai contenuti più radicali e lasciando in questo spazio a Melenchon, in particolare per ciò che riguarda il voto giovanile. Inoltre, lo spazio dato alle tematiche ambientali nella campagna del primo turno è stato solo il 3,6% del tempo di discussione, nonostante figuri stabilmente tra le maggiori preoccupazioni deə francesə. Questo ha ulteriormente indebolito Jadot, percepito a torto o a ragione come un candidato troppo “monotematico” e per di più troppo moderato.

Ma le ragioni del clima e l’urgenza di agire vanno al di là del destino di un singolo candidato e purtroppo non ammettono giochetti e rinvii; al momento, nonostante una corsa dell’ultimo miglio per darsi una verniciata di verde, né Macron né tantomeno Marine Le Pen (definiti rispettivamente da Liberation il “tiepido” e “il nulla”) garantiscono che davvero i prossimi cinque anni saranno “ecologisti”. Nonostante il tentativo in extremis di riportare l’attenzione sull’importanza del tema alla fine della campagna elettorale e in particolare durante il dibattito presidenziale di mercoledì 20 aprile, nel quale le differenze fra i due candidati sono emerse chiaramente (tutto nucleare e una notevole superficialità da parte della Le Pen, un approccio “tecnologico” ma sicuramente più chiaro sulle priorità da parte di Macron).

Se Macron resterà Presidente, le uniche speranze in questo senso sono che riprenda la mobilitazione di associazioni e attivisti per il clima, - che hanno annunciato negli ultimi giorni un aumento delle richieste di adesione – e che le successive elezioni parlamentari diano ai Verdi e a Melenchon un risultato tale da potere influenzare davvero il nuovo governo e la legislatura. Scommessa questa tutt’altro che semplice da vincere.

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