Ambiente

Greenwashing o technowashing? Le lavatrici mentali usate dai nemici del Pianeta

Oggi l’innovazione deve avere una direzione per modificare davvero il corso della storia. Non è correndo dietro l’ultima novità tecnologica che può risolvere la crisi climatica
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14 aprile 2022 Aggiornato alle 07:30

Il segretario generale dell’Onu ha commentato l’ultimo rapporto IPCC con parole che non lasciano dubbi. «È una litania di promesse mancate» dice António Guterres: «Stiamo correndo velocemente verso un disastro climatico». Al centro del problema, per Guterres, ci sono le politiche energetiche dei governi e del capitalismo fossilizzato, come gli idrocarburi che continua a bruciare. Purtroppo non si può dare torto al segretario generale. Ma supponendo che i governi proprio non riescano a fare il loro dovere, si può riporre qualche speranza nella tecnologia? In fondo, è ormai chiaro che le fonti di energia rinnovabili sono molto competitive rispetto agli idrocarburi, dice sempre Guterres, e puntare su tutto quello che può servire a triplicare la velocità del passaggio all’energia rinnovabile, come è necessario ed è comunque inevitabile, dovrebbe apparire come un buon investimento. In questo senso, appare necessaria una grande riorganizzazione. Interi settori dell’economia devono adattarsi, velocemente, al nuovo sistema di priorità. Milioni di nuovi posti di lavoro vanno creati per realizzare la trasformazione. L’organizzazione delle filiere produttive va ripensata. E, certamente, l’innovazione digitale è uno strumento essenziale per rendere fattibile tutto questo processo.

Ma attenzione. In questo contesto, la tecnologia digitale non può più essere interpretata con le categorie che l’hanno caratterizzata nei decenni scorsi.

- L’innovazione tecnologica sta attraversando un cambiamento di significato: alla luce di tutte le esternalità negative che si sono manifestate con le forme della digitalizzazione autoregolamentata dell’ultimo quarto di secolo, il contesto non è più favorevole all’identificazione dell’innovazione tecnologica con il progresso, ma richiede attenzione per i risultati effettivamente ottenuti sui temi più importanti.

- Uno studio di Eva Barteková e Peter Börkey, dell’Ocse, mostra come la digitalizzazione al servizio della transizione ecologica è una soluzione dal potenziale enorme, ma solo se la sua implementazione tiene conto del nuovo sistema di priorità.

- Sofia Ribeiro e Viriato Soromenho-Marques dell’università di Lisbona, in un articolo appena pubblicato dalla rivista scientifica Societis, mettono in guardia contro il “technowashing” una forma di comunicazione manipolatoria che serve a far credere che investire nella tecnologia basti a risolvere la crisi climatica. Come è dunque fatta una digitalizzazione adatta al nuovo contesto storico?

Che cosa è innovativo?

Ci si abitua a tutto, o quasi, nelle tecnologie. Ciò che sorprendeva, diventa ovvio. Ciò che sembrava desiderabile, diventa scontato. La gerarchia dell’importanza, nel tempo, cambia. Le innovazioni tecnologiche appassionano quando avvengono nel quadro di grandi salti di paradigma, che sembrano aprire infinite nuove possibilità, non tanto quando si limitano a miglioramenti incrementali.

Non è passato molto tempo da quando l’uscita di un nuovo smartphone produceva una sorta di fibrillazione: la fotocamera più potente, il chip più veloce, il design più accattivante. Le code fuori dai negozi. L’attenzione dei giornali. La riprogrammazione di milioni di app. L’acquisto delle nuove cover. Oggi tutto questo sembra essersi smorzato, nonostante che il valore economico e tecnologico di questa tecnologia si sia tutt’altro che sgonfiato. In realtà è cambiato il contesto.

Tra i molti cambiamenti di quest’epoca, c’è anche la trasformazione del criterio di giudizio che serve a riconoscere il valore dell’innovazione. L’impressione è che sia finito il tempo in cui si riteneva che la nuova versione di una tecnologia fosse sempre migliore della precedente, un pensiero che sostanziava una narrazione secondo la quale il progresso tecnologico era un processo inarrestabile. Ed era il risultato del lavoro e della visione dei tecnologi. Oggi, il quadro interpretativo è diverso. Ora si apprezza una nuova tecnologia non tanto perché funziona meglio della precedente, quanto perché risponde alla necessità di vincere le enormi sfide che caratterizzano la contemporaneità: dal cambiamento climatico all’inclusione sociale, dalla salute pubblica alla difesa dei sistemi democratici, temi questi ultimi che purtroppo hanno ultimamente conquistato l’attenzione delle società investite dalle catastrofi della pandemia e della guerra.

Insomma, non siamo più in un mondo nel quale il giudizio sull’innovazione poteva essere fondamentalmente autoreferenziale, nel quale la novità tecnologica veniva realizzata e poi si cercava a che cosa potesse servire: siamo in un contesto nel quale l’innovazione deve avere una direzione, perché deve davvero modificare il corso della storia. Deve affrontare la crisi energetica, deve garantire la sicurezza, deve rispettare i diritti, deve alimentare le possibilità e non soffocarle. Poiché questi sono temi complessi, non basta più il lavoro dei tecnologi, ma occorre la collaborazione, il dialogo con molti diversi stakeholder.

Se queste condizioni non sono rispettate, difficilmente si può parlare di innovazione. Sicché l’entusiasmo per l’innovazione che punta a conquistare e monopolizzare interi settori dell’economia viene smascherato: è un’emozione puramente speculativa.

Il potenziale digitale

Eva Barteková e Peter Börkey, dell’Ocse, confermano la fiducia che la digitalizzazione possa servire, per esempio, a riorganizzare le filiere produttive in funzione di massimizzare il riciclo dei materiali. La digitalizzazione, dicono gli studiosi, può contribuire a scindere l’attività economica dalle attuali forme d’uso delle risorse naturali, con il loro terribile impatto ambientale. «Le tecnologie digitali, come l’intelligenza artificiale, la blockchain, l’internet delle cose e il cloud computing, possono facilitare la transizione verso un’economia circolare e più efficiente nell’uso delle risorse, aiutando a superare gli ostacoli che si frappongono alla diffusione su larga scala di modelli di business più verdi». Ma gli autori avvertono che questo non è automatico.

Le tecnologie digitali possono ridurre le asimmetrie informative, abbassare i costi di transazione, abbattere l’avversione al rischio di utilizzare materie prime seconde, gestire la complessità del passaggio dall’architettura lineare della “filiera produttiva” alla forma complessa dell’ecosistema dell’innovazione. Ma è anche vero che la digitalizzazione porta con sé dei rischi per la sicurezza dei dati, la privacy, la trasparenza dei sistemi di machine learning e delle basi di dati. Senza dimenticare il consumo di risorse energetiche e di materie prime specifico del digitale, che comunque va gestito e reso sostenibile.

Far credere che un aumento degli investimenti digitali possa tradursi semplicemente in un miglioramento della sostenibilità del sistema produttivo è “technowashing”, dicono Sofia Ribeiro e Viriato Soromenho-Marques dell’università di Lisbona. Ma questo non deve indurre a fare un passo indietro sul digitale o a consolare i Paesi che come l’Italia sono particolarmente scarsi di competenze avanzate per le tecnologie digitali.

Sostenibilità digitale

Queste considerazioni sul digitale non corrispondono a una frenata nell’innovazione tecnologica, ma a un suo direzionamento. La policy della Commissione europea, con le sue innovazioni normative e le sue scelte di investimento, implica il passaggio da un regime di sviluppo autoregolamentato a un contesto di coregolamentazione, nel quale le piattaforme non possono più agire nell’irresponsabilità rispetto alle conseguenze sociali, economiche, ecologiche della loro struttura di business. Si può immaginare che l’obbligo di interoperabilità delle tecnologie riduca le probabilità che esse riescano a chiudere in un lock-in gli utenti e crescano fino a monopolizzare vasti spazi dell’economia. Nello stesso tempo, il loro contributo alla soluzione dei problemi reali della transizione ecologica e sociale che si è resa necessaria in questo secolo, aumenterà l’importanza strategica delle innovazioni digitali.

Sicché è possibile che il nuovo digitale sostenibile venga riconosciuto per il suo grande valore d’uso più che per il suo valore finanziario. È probabile che in queste condizioni produca meno concentrazioni di ricchezza e più redistribuzione di possibilità. Può darsi che il nuovo digitale sia, in fondo, quello che alle sue origini si sperava che potesse essere.

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Barteková, E. and P. Börkey (2022), “Digitalisation for the transition to a resource efficient and circular economy”, OECD Environment Working Papers, No. 192, OECD Publishing, Paris, https://doi.org/10.1787/6f6d18e7-en

Ribeiro, Sofia, and Viriato Soromenho-Marques. 2022. “The Techno-Optimists of Climate Change: Science Communication or Technowashing?” Societies 12, no. 2: 64. https://doi.org/10.3390/soc12020064

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