Diritti

Ecco perché la Polonia è il banco di prova delle destre in Europa

La legge anti-aborto, il rifiuto della supremazia della Ue e la totale noncuranza all’ambiente. Il destino di Varsavia sembra essere sempre più nero, come il suo carbone
di Maria Michela D'Alessandro
Tempo di lettura 3 min lettura
22 ottobre 2021 Aggiornato alle 17:19

A tenere banco sul tavolo del Consiglio europeo è ancora, tra gli altri, la Polonia. Giovedì sera a Bruxelles i capi di Stato e di Governo della Ue hanno discusso per circa due ore della recente sentenza della Corte Costituzionale polacca nella quale il Paese non riconoscerà più la supremazia delle leggi europee su quelle polacche. La Commissione europea non ha però preso provvedimenti contro gli Stati membri che violano lo stato di diritto, uno strumento giuridico a disposizione della Ue e che potrebbe essere usato nei confronti della Polonia.

Alla fine, è nato un conflitto interno all’Unione: il Parlamento europeo ha fatto causa alla Commissione per la mancata presa di posizione nei confronti di Varsavia. Il presidente dell’Eurocamera David Sassoli ha dato mandato ai servizi giuridici del Parlamento di procedere. L’azione sarebbe stata fatta per ‘spronare’ la Commissione a prendere provvedimenti contro la linea dura del premier polacco Mateusz Morawiecki.

Tra i commenti fuori e dentro le stanze di Bruxelles, Donald Tusk, l’ex presidente del Consiglio Europeo, ha attaccato il partito di Governo polacco, “il Pis è diventato un problema per l’intera Ue”, ha scritto su Twitter, criticando Mateusz Morawiecki per il suo incontro di oggi con Marine Le Pen.

La tensione non si è abbassata neanche sul fronte ambientale: mentre in Germania il dibattito sull’abbandono graduale del carbone sta diventando sempre più forte, in Lussemburgo 2mila minatori hanno protestato contro la decisione del tribunale supremo dell’Unione europea di chiudere una delle più grandi miniere di lignite in Polonia e di multare il Paese per aver violato la sentenza. A maggio 2021, il tribunale ha ordinato la chiusura della miniera di Turow, nel sud ovest del Paese, a seguito delle denunce della Repubblica Ceca secondo cui l’impatto del sito minerario inquinerebbe le falde acquifere della regione ceca di Liberec.

Vestiti con giubbotti gialli con la scritta “Nessuno tocchi Turow”, i manifestanti hanno attirato l’attenzione suonando clacson e sventolando bandiere bianche e rosse dei sindacati di Solidarnosc davanti alla Corte di giustizia dell’Ue sostenendo che le sue sentenze erano ingiustificate e minacciavano la sicurezza energetica della Polonia. Prima di dirigersi verso l’ambasciata ceca per protestare contro il ruolo di Praga nelle sentenze, i manifestanti hanno lasciato una lettera di dissenso alla Corte di giustizia dell’Unione Europea.

La Polonia ha ignorato l’ingiunzione, affermando che Turow e una vicina centrale elettrica generano circa il 7% dell’energia nazionale e illuminano milioni di famiglie. Il mese scorso, il tribunale europeo ha ordinato alla Polonia di pagare una multa di 500mila euro per ogni giorno in cui la miniera continuerà a funzionare, che Varsavia vuole tenere aperta per altri 20 anni fino al 2044.

Un altro primato negativo della Polonia cade nella giornata di oggi, 22 ottobre, primo anniversario dell’entrata in vigore della decisione della Corte costituzionale polacca che stabilì che l’aborto per gravi malformazioni del feto viola la Costituzione. Nel Paese vigeva già una delle legislazioni sull’aborto più restrittive in Europa e la sentenza della Corte ha stabilito un divieto quasi totale di interruzione di gravidanza. Nonostante le proteste, le fiaccolate delle donne in molte città, da Varsavia a Danzica, finora sono almeno 34mila le donne in Polonia che hanno cercato di abortire illegalmente o all’estero. Secondo Abortion Without Borders, l’organizzazione che aiuta le donne ad accedere a servizi di aborto sicuro, in un solo anno dall’entrata in vigore della legge, sono incalcolabili i danni creati alle donne polacche e ai loro diritti. Un punto di non ritorno per il futuro della Polonia.