Ambiente

Il mare è una madre preziosa da proteggere e amare

Se cancellassimo il colore azzurro dal mappamondo, ci troveremmo in un lampo su un Pianeta simile a Marte, senza acqua, aria, vita. Ecco perché è fondamentale rispettare la nostra grande distesa blu. Come ricorda oggi la Giornata nazionale del mare
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11 aprile 2022 Aggiornato alle 07:00

È ormai assodato: il mare è dall’alba dei tempi un incubatore di vita. Nel suo ciclo di evaporazione e condensazione la vasta distesa d’acqua che ricopre il 70% della superficie terrestre, diventa nube, pioggia, torrente, lago, fino a riempire gli acquedotti e arrivare a placare la nostra sete. Non di meno il regno di Nettuno produce il 50% dell’ossigeno che respiriamo, purifica l’aria trattenendo almeno il 30% dell’anidride carbonica immessa nell’atmosfera e fornisce cibo per circa 3 miliardi di persone.

In poche parole dipendiamo dal mare. Non solo, noi stessi siamo in parte mare, come sosteneva il biologo e fisiologo francese René Quinton (1866-1925), dopo aver scoperto che la composizione chimica degli oceani è compatibile con quella del plasma umano.

Insomma, se cancellassimo il colore azzurro dal mappamondo, ci troveremmo in un lampo su un Pianeta simile a Marte, senza acqua, aria, né vita.

Alla luce di ciò la grande distesa blu dovrebbe essere considerata un ecosistema da preservare, ma finora, purtroppo, non è stato così. Chiusi nel nostro approccio industriale miope e promotori di modelli di sviluppo incompatibili con l’ambiente, nell’arco di pochi decenni abbiamo trasformato questo inestimabile bene, in una enorme discarica.

Ogni minuto viene disperso in mare l’equivalente di un camion di rifiuti di plastica e sono ormai 86 milioni le tonnellate di materiale non biodegradabile che lo contaminano. Per altro, permanendo gli attuali standard di produzione, tale quantitativo è destinato a decuplicarsi entro il 2025, ovvero tra soli tre anni. Proseguendo di questo passo, avvisano dalla fondazione Ellen MacArthur e dal World Economic Forum, nel 2050 in mare ci saranno più pezzi di plastica che pesci.

Questo prodotto sintetico, parcellizzato in un’infinità di microplastiche, vaga pressoché ovunque trasportato dalle correnti, mentre i rifiuti più grandi si ammassano in gigantesche isole galleggianti (i cosiddetti garbage patch presenti in tutti gli oceani) o colonizzano i fondali. Residui sono stati rinvenuti addirittura nella Fossa delle Marianne, a 10.900 metri di profondità.

Naturalmente il problema è tutt’altro che estraneo al Mar Mediterraneo che raccoglie il 25% del turismo mondiale e il 30% del traffico commerciale internazionale.

Secondo le stime del WWF, pur rappresentando solo l’1% delle acque di tutto il Pianeta, il mare nostrum contiene il 7% di tutte le microplastiche disperse negli oceani. Con l’aggravante che al suo interno, data la configurazione a bacino chiuso, il ricambio d’acqua è stimato in un periodo non inferiore ai 100 anni.

Ma quello dell’inquinamento da materie plastiche non è che una delle calamità con cui il genere umano attenta all’ambiente acquatico. A incidere negativamente sul suo stato di salute, contribuiscono anche l’immissione nell’atmosfera di anidride carbonica che ne altera il Ph, quindi i concimi, i pesticidi, i saponi, i fanghi, i liquami, gli scarichi industriali e altre sostanze tossiche versate deliberatamente in mare o trasportate dai fiumi.

Le accidentali fuoriuscite di petrolio che si verificano durante le estrazioni offshore o il trasporto via cargo, poi fanno il resto. Risale a soli 12 anni fa quello che è ricordato come il più grande disastro ambientale della storia statunitense, ovvero l’esplosione della piattaforma Deepwater Horizon nel Golfo del Messico e la conseguente dispersione in oceano di 500 milioni di litri di petrolio.

A tutto ciò si aggiungono i mutamenti climatici e l’innalzamento del livello dei mari, che entro la fine del secolo potrebbe arrivare a un metro. L’effetto di tale sconvolgimento si fa già sentire in tutta la sua drammaticità negli arcipelaghi dell’Oceano Pacifico, come le isole Kiribati dove le sorgenti d’acqua dolce sono state già da tempo contaminate da quella salata e 120.000 persone si stanno confrontando con l’incubo di una imminente diaspora. E in prospettiva a fare le spese di un oceano in espansione potrebbero essere città costiere come Miami negli Usa, o interi paesi come il Bangladesh. Il pericolo è davvero esteso se si considera che su scala planetaria un terzo delle città abitate dall’uomo è a livello del mare.

Oggi, 11 aprile, si celebra la giornata nazionale del Mare istituita nel 2017 con decreto legislativo (n. 229) per coinvolgere soprattutto i più giovani in iniziative scolastiche volte a diffondere l’importanza del rispetto e della conoscenza del mare. Non tutto è perduto. C’è ancora tempo per rimediare, ma, nel solco di questa importante ricorrenza, occorre agire subito e concretamente affinché vi sia diffusa consapevolezza del problema.

Il mare è una creatura viva: non una risorsa da saccheggiare, ma una madre premurosa da proteggere e amare.

Alberto Casti è direttore di Bolina.

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