Ambiente

Troppo tardi per il Pianeta? No, secondo Michael Mann

Uno dei più esperti climatologi al mondo spiega a che punto siamo con la lotta al riscaldamento globale. Ricordandoci che è l’inazione ad aver bloccato la decarbonizzazione. Che non siamo proprietari di questa Terra. E che le battaglie dei giovani sono una speranza
Il climatologo Michael Mann.
Il climatologo Michael Mann.
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
10 aprile 2022 Aggiornato alle 17:00

Al climatologo statunitense Michael Mann piace particolarmente un proverbio: talk the talk but not walk the walk. Si riferisce a coloro che parlano ma non camminano, un detto traducibile in italiano col nostro “predicare bene e razzolare male”.

Mann, uno tra i maggiori scienziati del clima al mondo, professore di Scienze atmosferiche e direttore dell’Earth system science center alla Pennsylvania State University, negli Stati Uniti, ha da poco pubblicato il suo ultimo libro, edito da Edizioni Ambiente, dal titolo La nuova guerra del clima. Ospite al Festival internazionale del giornalismo a Perugia, ha parlato proprio della tendenza, fin troppo diffusa tra le grandi industrie di combustibili fossili, di continuare a deviare colpe e responsabilità che, in realtà, appartengono loro.

Intervistato dalla giornalista, autrice e fotografa Stella Levantesi, Mann ha spiegato che per anni queste compagnie hanno operato per bloccare le regolamentazioni alle emissioni di CO2, o per screditare le alternative rinnovabili e pulite veicolando la «disinformazione» e giustificando l’uso dei combustibili fossili, spesso trovando la «complicità di media e comunità scientifica».

Secondo Mann sarebbe stato facile, 30 anni fa, abbassare le emissioni e distaccarci gradualmente dalle fonti non rinnovabili da cui attualmente dipendiamo, ma «decenni di inazione» hanno portato alla situazione drammatica che stiamo vivendo.

Il climatologo è stato uno degli esperti che hanno contribuito al lavoro dell’IPCC - Intergovernmental Panel on Climate Change, il principale organismo internazionale per la valutazione dei cambiamenti climatici - a cui è stato assegnato il Premio Nobel per la pace del 2007. Durante l’incontro, intitolato La nuova guerra del clima: le battaglie per riprenderci il Pianeta”, ha parlato del sesto rapporto pubblicato di recente proprio dall’IPCC, che «rende abbastanza chiaro che c’è ancora una strada da percorrere davanti a noi, ma è estremamente stretta. Ci resta poco tempo e possiamo ringraziare l’industria dei combustibili fossili e i media e i politici conservatori», ha tuonato Mann.

L’obiettivo del prossimo decennio è ridurre le emissioni di CO2 del 50%, «se vogliamo invertire gli impatti sempre più catastrofici del cambiamento climatico»: lo ha ricordato Mann, rifacendosi all’appello emerso dalla Cop26 di Glasgow, la conferenza sul clima tra ottobre e novembre 2021, e anche dall’ultimo pacchetto lanciato dalla Commissione Ue per tagliare le emissioni entro il 2030. Si chiama Fit for 55, alza l’asticella europea a – 55%, e vuole rispettare le volontà del Green Deal europeo, per cui il continente potrebbe essere il primo a impatto climatico zero entro il 2050.

Ma questi obiettivi sono oscurati anche dai cosiddetti “inattivisti”, che «online, sui social media, usando troll e bot fanno litigare tra loro i sostenitori del clima, in modo che non rappresentino un fronte unito che chiede di agire. Creano divisione. E poi – ha continuato Mann – distolgono l’attenzione dalle necessarie politiche di cambiamento sistematico, dal carbon pricing, ai sussidi, all’energia rinnovabile, al blocco di nuove infrastrutture per i combustibili fossili, cambiamenti necessari ma che faranno male ai loro profitti». Ma gli inattivisti non sono solo le aziende inquinanti: ci sono gli individui e le istituzioni che le supportano e le legittimano. E non agiscono per il clima.

«Ma soprattutto, vogliono convincerci che non c’è alcun problema e che è troppo tardi per fare qualcosa». Qualcosa, invece, si può ancora fare. Come spiega Mann, non siamo proprietari di questo Pianeta, ma «amministratori», e come tali dobbiamo occuparcene. «Ma io sono ottimista, ed è in gran parte grazie all’attivismo dei giovani di oggi. Mi ispira, e mi dà la speranza che nonostante la natura monumentale di questa sfida, saremo all’altezza della situazione».

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