Ambiente

La pace fossil-free

Fatichiamo a rinunciare alle comodità scontate in cambio di stabilità politica, economica, benessere diffuso. Ma ora che la Ue ha messo l’embargo sull’energia dalla Russia, lo dovremo inevitabilmente fare
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8 aprile 2022 Aggiornato alle 08:00

«Il prezzo del gas può essere scambiato con la pace? Cosa preferiamo?»

La domanda del Premier Mario Draghi, fatta durante la conferenza stampa sul Def, si fa ancora più importante ora che il Parlamento europeo ha approvato l’embargo totale sull’energia dalla Russia. Una questione che va al cuore delle contraddizioni della società Occidentale.

La nostra economia si trova di nuovo in crisi, esattamente due anni dopo la crisi sistemica da pandemia, sotto molteplici fronti. Inflazione, caro energia, mancanza materie prime, guerra, crisi climatica e della biodiversità e ora l’embargo del principale fornitore di gas. Siamo di nuovo spaventati di fronte a un futuro che dire incerto non coglie la complessità della situazione. Siamo spaventati anche per il riflesso che la guerra ha sulle nostre coscienze, costrette a guardare la complessità dell’economia globale e la sua fragilità.

Il premier invoca i valori dell’unità contro il conflitto e contro la militarizzazione delle risorse energetiche. Forze di governo, parti sociali, cittadine e cittadini sono chiamati ad agire per uno sforzo comune. Sacrifici contro il benessere a ogni costo per un valore più alto: quello della pace, della stabilità, della tutela di una prosperità umana prima che economica. Ognuno deve fare la sua parte.

La domanda in realtà può contenere un’accezione molto più profonda di quello che lo stesso Draghi vorrebbe intendere. La questione infatti potrebbe essere riformulata per parlare di crisi climatica: il benessere alimentato da fonti fossili può essere scambiato con il contenimento della catastrofe climatica e gli impatti su salute e sicurezza planetaria?

Guerra e clima sono due crisi urgenti, che mietono vittime, colpendo soprattutto i più deboli, devastando la nostra economia e le nostre comunità. Vengono prima i viaggi low-cost in aereo e l’aria condizionata in agosto o la decarbonizzazione e l’indebolimento del regime di Putin?

L’Italia, che si tratti di opposizione al putinismo o alla crisi climatica, a differenza della Germania o della Francia, rimane estremamente attendista, specie da parte della pseudo-destra, ovvero la Lega di Salvini (che sia su Putin che sul climate change ha posizioni anti-storiche) ma anche di alcuni elementi del M5S o del centro conservatore.

Il dilemma di Draghi arriva dunque come una scossa importante nella riflessione sui valori della nostra società, che ha dimenticato la propria etica civica, annacquata nel consumismo più spietato.

La risposta sembra retoricamente così ovvia, eppure non lo è. C’è chi non è disposto a rinunciare all’aria condizionata, alla faccia delle persone massacrate in Ucraina (c’è chi nega i morti di Bucha), così come tanti non vogliono abbracciare la transizione ecologica alla faccia delle migliaia di morti legate ai cambiamenti climatici e alle catastrofi che dovranno affrontare le future generazioni (c’è chi nega ancora il cambiamento climatico).

Al di là della spazzatura negazionista, facciamo fatica a rinunciare alle comodità date per scontate in cambio di pace, stabilità economica, benessere diffuso. Ora lo dovremo inevitabilmente fare. Dipende come.

Sbaglia Carlo Calenda, figura esperta di commercio internazionale, che pur di avere una soluzione allo stop del gas è disposto a tutto, anche a violare la pace climatica. «Come arrivare nel giro di un anno a non dipendere dal gas russo», si chiede Calenda dandosi la risposta: «9,5 mld di metri cubi di gas sostituti da pieno uso della potenza installata delle centrali carbone, 5 da Navi di rigassificazione e 10 da contratti con paesi produttori mediterraneo e Tap».

Se i contratti per il gas con Paesi produttori come Azerbaijan e Qatar possono – e devono – essere impiegati nel breve periodo, il leader di Azione sbaglia a reintrodurre il carbone, principale fonte di gas serra proprio nel momento che gli scienziati di tutto il mondo ci dicono che abbiamo meno di 10 anni per invertire la rotta sulle emissioni.

Calenda non offre – come non lo fanno nemmeno Draghi o l’inesistente Cingolani – misure legate a rinnovabili e riduzione dei consumi, magari facendo appello a sobrietà e risparmio energetico.

Dall’inizio della crisi tutti i leader politici hanno perso l’occasione di accelerare sulle rinnovabili (il Ministero dei Beni culturali rema addirittura in direzione opposta), su efficientamento energetico e sulla mobilità sostenibile, adottando soluzioni intelligenti come agevolare l’uso della bicicletta o ridurre i prezzi dei mezzi di trasporto pubblici.

La pace necessaria è quella politica e ambientale. Siamo disposti a cambiare, con piccole rinunce temporanee a viso di una felicità duratura e diffusa?

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