Ambiente

Quanto ci vorrà a chiudere con il gas russo

È una sfida complessa la “zero dipendenza da Mosca” come auspicato dalla presidente del Parlamento Ue Metsola. Ma alcune vie ci sono: dalle forniture estere ai rigassificatori, all’accelerazione con eolico e solare. I tempi? A lungo termine, per non rischiare la recessione
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7 aprile 2022 Aggiornato alle 07:00

Più la guerra si intensifica, più si scoprono gli orrori e le atrocità come Bucha o Borodyanka, più l’unica arma che l’Europa sembra avere in mano - sempre evitando un conflitto globale chiudendo lo spazio aereo - sembra essere quella di tagliare le forniture di gas russo, il grande approvvigionamento per le casse di Vladimir Putin.

Nelle ultime ore, dalle parole del presidente del Parlamento Ue Roberta Metsola che ha parlato di “zero dipendenza da Mosca” in termini di economia ed energie, o quelle di Mario Draghi, che si è detto “pronto a fare a meno del gas russo se necessario”, la strada dell’inasprimento delle sanzioni che passa per il taglio alle forniture del gas del Cremlino sembra la via obbligata da percorrere. Ci sono Paesi che hanno dimostrato di poter reggere chiudendo i rubinetti di Mosca, come la Lituania, altri che grazie a fonti energetiche come il nucleare sono consapevoli di poter reggere, come la Francia, e altri ancora che avrebbero seri problemi a rinunciare al gas russo, in primis la Germania, ma anche l’Italia.

Quanto è fattibile e che ripercussioni ci sarebbero per il nostro Paese in caso di stop alle forniture di Mosca? Mentre con gli adeguati sforzi l’Europa può reggere forse a rinunciare a carbone e petrolio dalla Russia, come è già in previsione da quanto uscito nelle ultime ore di discussioni relative alle sanzioni, per il gas la questione è decisamente complicata.

L’Europa importa infatti ben 155 miliardi di metri cubi di gas ogni anno e di questi circa una trentina sono destinati all’Italia. Nello Stivale più o meno il 40% del gas - necessario per le nostre industrie così come per il riscaldamento delle nostre case e tantissime altre attività - arriva da Mosca. L’altra grande fetta invece, il 31%, la prendiamo dall’Algeria. Quasi tutto il gas che usiamo da noi è importato: nel 2021 su 76 miliardi di metri cubi consumati, 72 sono stati importati dall’estero.

Ora la strada che ha davanti l’Italia, così come altri Paesi, è quella di lavorare per far fronte a due emergenze contemporaneamente: da una parte la crisi legata alla guerra e dall’altra quella climatica. La seconda, ha ricordato il recente report Ipcc, per garantire un futuro agli abitanti del Pianeta ci impone di decarbonizzare, dunque puntare sull’addio alle fonti fossili come carbone, petrolio e gas. Il cammino da percorrere è quello di aumentare enormemente la quota di rinnovabili entro il 2030: lo stiamo percorrendo, ma dall’oggi al domani - per far fronte all’emergenza del conflitto - questo non ci permette ancora di soddisfare la richiesta energetica del Paese. Quindi in questo momento il gas è ancora necessario per garantire economie e fabbisogni dei cittadini.

Se si chiudono i rubinetti di Mosca, strettamente legata all’Europa a doppio filo per una questione di condutture e infrastrutture, bisogna dunque trovarlo altrove.

In queste settimane il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, spesso accompagnato dai vertici Eni, sta cercando di ottenere accordi in diversi Paesi: fra i primi l‘Algeria, ma anche Azerbaijan, Qatar, Armenia e Turchia sono nella partita. È lì, così come da accordi con gli Stati Uniti, che parte d’Europa sta cercando di ottenere il gas necessario per il futuro.

«Stiamo diversificando su diversi Paesi le forniture. Abbiamo il vantaggio di avere 5 gasdotti che collegano l’Italia al Nord, al Sud e all’Est del Pianeta e questo ci consente di diversificare contrattualizzando nuove forniture con Paesi con cui c’erano meno rapporti o produzioni più basse. Stiamo facendo una corsa contro il tempo. Però in questo momento cominciamo a vedere una serie di forniture nuove che verranno concretizzate nelle prossime settimane e che ci dovrebbero tenere abbastanza al sicuro per i prossimi mesi» ha detto di recente il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani.

La questione infatti non è cosa potrebbe accadere se domani dicessimo addio al gas russo, ma cosa succederà piuttosto fra due o tre mesi. Al momento nelle riserve italiane è stoccato un 30% di gas che ci permetterebbe di andare avanti ancora per un po’. Con l’arrivo della bella stagione e l’aumento delle temperature, a livello domestico si ridurranno notevolmente i consumi, e questo ci fornisce una chance.

Ma dal punto di vista delle imprese il danno sarebbe concreto, con forti ripercussioni sulla produzione industriale: tra impennata dei prezzi e assenza di gas, si stima un calo dell’output della manifattura italiana nell’ordine del 25%, in sostanza il rischio di una settimana di chiusura al mese per le industrie. Uno scenario che a lungo termine potrebbe portare l’Italia anche in recessione. Dall’altra parte però, ha detto anche Carlo Bonomi presidente di Confindustria, attraverso politiche di compensazione come proroghe dei sussidi sui carburanti, sostegno all’acquisto di materie prime o per il pagamento delle bollette, si potrebbero ridurre buona parte dei danni.

Tutto questo però sarà possibile solo se, contemporaneamente allo stop al gas russo, si punterà con insistenza sul discorso dell’efficientamento energetico e la crescita delle rinnovabili. L’efficienza, in particolare, sembra essere una chiave di risparmio importante: attraverso l’elettrificazione con pompe di calore, così come la riduzione delle perdite, ma anche un cambio di logica sui consumi (per esempio far comprendere alla popolazione l’importanza di abbassare di un grado o più il riscaldamento) si arriverà a quella partenza necessaria che insieme all’import da altri Paesi porterà a liberarci dalla dipendenza di Mosca.

Di recente uno studio Elmens, commissionato da Legambiente e Kyoto Club, rivela proprio come elettrificando nell’edilizia e puntando su pompe di calore possiamo ridurre i consumi entro il 2025. In soli 3 anni si potrebbero “ridurre i consumi di gas di circa 5,4 miliardi di metri cubi per arrivare al 2030 a ben 12 miliardi di metri cubi” sostiene il report, che auspica questa direzione anche in chiave di battaglia alla crisi climatica.

Anche think tank sul climate change come Ecco indicano il 2025 come data per un possibile addio totale agli attuali volumi di import di gas come quelli che otteniamo dalla Russia, con risultati interessanti già dal prossimo inverno se spingeremo a tutta potenza per una crescita in termine di efficientamento e rinnovabili. Essendo le case degli italiani responsabili del 30% di consumi di gas diretto, per poter dire addio a Mosca è dunque necessario iniziare subito con un miglioramento dell’efficienza energetica in ogni casa possibile.

Ma se i piani a lungo termine fanno ben sperare, per far fronte alla chiusura immediata del gas russo politiche nel brevissimo termine potrebbero non bastare. Per questo motivo, tra accordi con altri Paesi che si stanno prendendo e ragionamenti di vario tipo, nel piano B si è passati anche per opzioni che vanno nella direzione opposta all’emergenza climatica: ovvero la riapertura di centrali a carbone, o l’affitto di rigassificatori offshore.

L’Italia oggi ha solo tre impianti per il Gnl, il gas naturale liquefatto, motivo per cui sono in arrivo due navi da rigassificazione e non è escluso che gli impianti in funzione aumentino le loro operazioni oltre il 30% per guadagnare qualche altro miliardo di metri cubi di gas, così come si potrebbe spingere nella realizzazione di un nuovo rigassificatore a Porto Empedocle (Agrigento).

Liberarsi dalla dipendenza del gas russo dunque, seppur “non in un attimo” come ha detto il ministro Cingolani, è potenzialmente possibile anche per l’Italia. Più in generale però dovrà essere una mossa coordinata e condivisa da tutta l’Europa che, come ha detto l’Agenzia internazionale per l’energia (IEA), dovrà passare attraverso diverse azioni necessarie.

Quali? Non firmare nuovi contratti di fornitura di gas con la Russia, sostituire le forniture con fonti alternative, introdurre obblighi minimi di stoccaggio del gas, accelerare l’implementazione di nuovi progetti eolici e solari e, per chi può, massimizzare la produzione di energia da bioenergia e nucleare. E ancora: adottare misure fiscali a breve termine per aiutare i cittadini dall’aumento dei prezzi elevati (no ad aumenti in bolletta), sostituire le caldaie a gas con pompe di calore, migliorare l’efficienza energetica in edifici e industria, spingere affinché la popolazione riduca di almeno un grado la temperatura nelle case e infine, atto necessario per far fronte alla grande crisi del clima, intensificare gli sforzi per diversificare e decarbonizzare.