Diritti

Una pericolosa giornata di guerra in tv

La bulimia di informazioni sul conflitto ucraino non riguarda solo il piccolo schermo, dove è andata in onda persino la serie tv del premier Zelenskiy. Tutti i media, dai social ai siti web dei quotidiani, sono diventati una all-news bellica. Dalla quale è impossibile sfuggire
Il premier ucraino Volodymyr Zelensky nella serie “Servant of the people”, di cui è protagonista, ideatore e regista, in onda su La7.
Il premier ucraino Volodymyr Zelensky nella serie “Servant of the people”, di cui è protagonista, ideatore e regista, in onda su La7.
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 6 min lettura
5 aprile 2022 Aggiornato alle 21:00

Abbiamo confinato la guerra in televisione? Sì, ma non perché sia fiction. Perché dall’alba del 24 febbraio a questa parte, non si parla di altro sul piccolo schermo. E non sempre nella maniera giusta.

Il rischio di raccontare costantemente un conflitto, se non si è preparati, è di iper-semplificarlo, di andare a scovare quei racconti utili solo alla pornografia del dolore, di sottoporre le persone a un martellamento che non farà altro che allontanarle da una copertura h24.

La narrazione del conflitto sui media italiani è andata spesso verso la spettacolarizzazione, confondendo il piano dell’informazione con quello dell’esibizione. Come ha spiegato al fattoquotidiano.it Alberto Negri, per trent’anni corrispondente del Sole 24Ore da Medio Oriente, Africa, Asia e Balcani, «questa guerra è l’occasione per molti giovani giornalisti di farsi conoscere, e alcuni di loro producono materiali davvero straordinari. […] Poi ci sono i commentatori seduti sul sofà, che sentenziano su tutto lo scibile umano e non aiutano a capire nulla, ma confondono solo le acque».

Il primo caso potrebbe fare riferimento al lavoro di Cecilia Sala, una delle prime giornaliste italiane a riportare le voci dal fronte di guerra in Ucraina e coprire il conflitto attraverso il podcast per Chora Media, la storytelling company italiana fondata nel 2020 e guidata dal giornalista Mario Calabresi. Così come Valerio Nicolosi, che ha registrato i suoni delle sirene antiaeree dai bunker di Kyiv per la rivista di approfondimento culturale e politico MicroMega.

Inoltre, mai prima d’ora i media avevano inseguito tanto i social network. Prima per condividere i video del premier ucraino, Volodymyr Zelensky, che da Kyiv tranquillizzava il suo popolo, spaventato dalla propaganda russa che dava per morto il loro leader. E poi per pubblicare foto e video dal fronte, soprattutto su Twitter e Instagram.

Piattaforme che rendono complessa la verifica delle fonti, soprattutto nei tempi rapidi della guerra, cosa che ha portato molti quotidiani e giornalisti a condividere senza esitazione notizie ancora da confermare. Piattaforme che non filtrano neanche le atrocità delle forze armate russe che avrebbero fatto strage di civili, il 31 marzo, a Buča: le immagini dei cadaveri per la strada sono apparse ovunque, anche sulle prime pagine dei giornali italiani.

Corpi senza vita con mani e piedi legati a pochi passi dalle proprie case, bambini ammassati agli angoli delle strade. Sono foto stampate a colori su cellulosa, disponibili 24 ore su 24 sui siti dei maggiori quotidiani nazionali e internazionali. Immagini che verranno custodite per sempre dalla Rete. Ma anche prove delle violenze che avrebbe commesso la Russia che, però, negherebbe tutto e parlerebbe di fake news.

Ma la vera protagonista è la televisione, sia per l’immediatezza dell’informazione che per la possibilità di mostrare direttamente ciò che accade e non affidarsi più esclusivamente alle parole degli inviati, anche se sul campo.

Molti canali tv sono diventati simili a quelli di all news, con un palinsesto dedicato quasi interamente alla guerra - è il caso di La7, che già il 21 febbraio aveva mandato in onda uno speciale del TgLa7 dedicato alla situazione di tensione in Ucraina e il documentario Herzog incontra Gorbacev. E sono note le maratone del direttore del Tg della rete di Urbano Cairo, Enrico Mentana, che non sono mancate neanche stavolta.

Ed è proprio questo canale ad aver mandato in onda per primo in Italia, il 4 aprile, la serie televisiva del 2015 che ha reso famoso il premier Volodymyr Zelensky quando era attore, Servant of the people, in cui il protagonista – proprio lui, il presidente ucraino, che ne è anche ideatore e regista -, è un professore di matematica che, dopo un video divenuto virale in cui critica i leader del Paese, viene eletto al loro posto. La fiction ha superato la realtà. Inoltre lo sceneggiatore della serie, Yuriy Kostyuk, avrebbe oggi un ruolo di rilevanza nella strategia comunicativa del presidente.

Il comico e attore ha deciso di candidarsi alle elezioni in Ucraina proprio dopo essersi dedicato per tre anni a questo programma satirico, ricevendo oltre il 70% dei voti al secondo turno delle elezioni presidenziali del 2019, forte della fama conquistata con lo show: Netflix Us l’ha reso nuovamente disponibile in America proprio nel giorno in cui il leader ucraino si è collegato in diretta con il Congresso americano, il 16 marzo - l’ha fatto anche con il Parlamento italiano, con quello britannico e con il Bundestag tedesco.

Il secondo caso di cui parlavamo, quello dei commentatori non necessari, potrebbe riferirsi al passaggio radicale dai talk show incentrati sul Covid-19 - con virologi esperti, virologi improvvisati e virologi presunti – a trasmissioni piene di strateghi militari e intenditori di geopolitica (non sempre massimi conoscitori del conflitto, s’intende). O di giornalisti concentrati più su produzioni che vogliono intrattenere, piuttosto che informare. E così Lucio Caracciolo, fondatore e direttore della rivista di geopolitica Limes, è diventato un ospite quasi fisso dalla giornalista Lilli Gruber, alla trasmissione Otto e Mezzo, per spiegare con competenza ciò che molti opinionisti ignorano. E dall’altra parte, invece, c’è chi come Massimo Giletti, inviato a Odessa per la trasmissione Non è l’Arena, preferisce la spettacolarizzazione: invitato dagli addetti alla sicurezza a rientrare nell’albergo a causa delle sirene antiaereo, ha continuato la diretta tranquillizzando lo studio. «Don’t worry, be happy», ha detto.

Come ha scritto Jack Shafer, senior media writer del quotidiano americano Politico, i giornalisti non sono gli unici che “amano” la guerra, anche perché è un prodotto che “vende” - come spiega il giornale, l’audience settimanale del sito web della BBC in Russia è aumentata del 252% durante la prima settimana di guerra e gli ascolti delle americane Fox News Channel, MSNBC e CNN sono aumentate di quasi il 50 percento nello stesso periodo -: «Parte del fascino della guerra in Ucraina, sia per i giornalisti che per il pubblico dei telegiornali, è che quelle linee sono nette, permettono al pubblico di rispondere emotivamente alla rappresentazione di eroi e cattivi creata dal conflitto. I giornalisti possono amare la guerra, è vero, ma questo vale anche per il pubblico». Per tutti gli altri? È tempo di una sana pausa dalla televisione.

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