Futuro

Lo sport è un antidoto al malessere mentale dei giovani

Ci avevano detto che prima o poi sarebbero arrivate. E infatti, eccole qui: le conseguenze sulla salute fisica e psicologica degli adolescenti sono certificate da dati e rapporti allarmanti. Ma una luce c’è. Come ci ricorda la Giornata internazionale dello sport
Credit: mathieu chassara
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6 aprile 2022 Aggiornato alle 07:00

Recentemente, ai ragazzi di una scuola superiore di Milano è stato sottoposto un questionario: su un campione di 460 risposte, il 76% ha dichiarato di aver avuto attacchi di panico o altre emozioni che non riusciva a gestire durante un’interrogazione; la percentuale scende al 59,7% in situazioni slegate dalla valutazione.

Durante la pandemia da Covid-19 diverse voci, a più riprese, hanno segnalato con forte allarme, un crescente malessere emotivo e psicologico espresso da bambini e ragazzi in forme e intensità tra loro molto diverse: ansia, depressione, aggressività, disturbi alimentari e del sonno, dipendenza digitale, ritiro sociale, fino agli attacchi al corpo (tentati suicidi, atti di autolesionismo).

Secondo i dati diffusi dal Consorzio interuniversitario Cineca, durante i primi 6 mesi di pandemia i casi di disturbi del comportamento alimentare sono aumentati del 40% rispetto ai primi 6 mesi del 2019. A marzo 2022, la Sinpia (Società italiana di neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza) ha sottolineato inoltre come i ricoveri in ospedale per cause legate a questi disturbi siano triplicati tra il 2019 e il 2021 in seguito ai lockdown, con un trend in ulteriore aumento all’inizio del 2022 e un’età di esordio delle patologie alimentari scesa a 11-13 anni.

Nei giorni scorsi, ho avuto l’occasione di partecipare a un incontro di lavoro con i colleghi di Fondazione Cariplo che stanno per lanciare un’iniziativa per aiutare le famiglie e i ragazzi che si trovano dentro queste difficoltà. Ascoltavo questi dati e i miei colleghi parlare; ho chiuso gli occhi, e mi sono fermato a pensare: eccole qui le conseguenze, ci avevano detto che prima o poi sarebbero arrivate. Diciamo che non hanno tardato.

La Cariplo partirà nelle prossime settimane con un’azione importante, che mette a disposizione 2,5 milioni di euro, per avviare iniziative che serviranno ai nostri ragazzi a ritrovare o a trovare il loro benessere mentale. Porterà certamente sollievo a quei servizi, in prima battuta quelli psicologici, che non riescono a reggere questa ondata che è arrivata.

Poi mi è tornato alla mente il primo articolo che avevo scritto per La Svolta. Avevo raccontato di un’esperienza diretta che ho vissuto, con dei ragazzi, anni fa: era legata allo sport e all’ansia da performance; avevo attribuito allo sport un valore educativo fondamentale, che tutti riconosciamo, ma che fatichiamo a vedere realizzato, che punta all’inclusione soprattutto di chi rischia di finire ai margini. Ansia-sport-performance. I ragazzi smettono di praticarlo. E ora: ansia-scuola-performance.

È chiaro che non possiamo ridurre la questione a dire che l’attività fisica e lo sport aiuterebbero i bambini e i ragazzi a mitigare il loro livello di stress. È un insieme di concause complesse, la cui analisi, giustamente, va lasciata a chi è competente. Possiamo però dire che il supporto psicologico è importante, ma non sufficiente? Che servirebbero tante cose, tante, ma tante e tutte insieme e subito, o molto in fretta, accidenti. a esempio, riattivare relazioni e fare movimento, giocare insieme? Anche in questo caso, può sembrare una considerazione così semplice da apparire banale. La parte complessa sta nel come farlo.

Il malessere mentale ha certamente radici profonde, che non si risolvono “solo” con un po’ di movimento, ma lo sport e chi lo promuove possono aiutarli, se tutti ci decidiamo a mettere al primo posto il benessere e la salute vera dei nostri ragazzi. Non il risultato, la vittoria, la classifica, ma lo stare insieme, in modo semplice. È un lavoro lungo.

Ad esempio, il nuovo parroco, dove vivo, appassionato di corsa e di montagna, una volta al mese, parte dal sagrato, dopo la messa, e cammina insieme a chi c’è. Non bisogna iscriversi, pagare, etc etc. La gente sa che può aggregarsi e partire, zaino in spalla, per camminare un paio d’ore. E piano piano il gruppo è cresciuto, con tanti bambini e genitori. Una cosa semplice.

C’è una collana di libri, una specie di enciclopedia dell’utopia dello sport. Si chiama Goal, e racconta le vicende delle Cipolline, squadretta della periferia milanese. Ogni libro è un piccolo capolavoro educativo. A scrivere quelle storie è Luigi Garlando, giornalista e penna raffinata della Gazzetta dello Sport. Le vicende le racconta in modo sopraffino un giornalista che in mezzo ai campioni ci vive tutti i giorni; quei campioni fragili, come qualcuno li ha definiti nei commenti dopo l’esclusione dai Mondiali di Calcio, in Qatar. Luigi racconta quelle storie così belle che sembrano vere, così belle da sembrare impossibili. E forse lo sono davvero. Vere e impossibili.

Non sono storie di calcio edulcorate, quelle del “vogliamoci bene”. No, sul campo ci si affronta come si deve. Ma sul campo ci vanno tutti. L’allenatore, il signor Champignon, fa fatica a tenere insieme quel gruppo di adolescenti, maschi e femmine. Ma il mister, che nella vita fa il cuoco e allena i ragazzi per hobby, ha chiaro l’obiettivo.

Lo sport serve a portare il sorriso sui volti dei suoi ragazzi, passando per le fatiche, le delusioni e pure tensioni in spogliatoio, ci mancherebbe; ma l’obiettivo è quello: la sensazione che abbiamo provato tutti, almeno una volta nella vita: sentirsi bene, aver giocato, riso, e magari pure vinto con un gol in rovesciata.

No, la rovesciata, quella no; però, anche solo poter sognare che un giorno lo farai, quel gesto atletico impossibile, è un modo per inseguire un sogno che fa stare bene.