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Elezioni in Ungheria e Serbia: ha vinto l’amicizia con Putin

Nella domenica di elezioni trionfano per la quarta volta Viktor Orbán e per il secondo mandato Aleksandar Vucic. Entrambi tesi con la mano verso Mosca
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4 aprile 2022 Aggiornato alle 17:00

Si sono svegliati tutti e 2 sorridenti nelle rispettive capitali Budapest e Belgrado dopo le elezioni parlamentari e presidenziali di domenica 3 aprile. Viktor Orbán da una parte e Aleksandar Vucic dall’altra, il primo ministro ungherese al potere dal 2010 e il presidente della Repubblica di Serbia dal 2017. Entrambi di destra e con un amico in comune, Vladimir Putin.

Quarto mandato consecutivo per il leader di Fidesz, il partito di maggioranza ungherese, e secondo per quello del Partito Progressista Serbo.

«Fidesz rappresenta una forza conservatrice patriottica e cristiana. È il futuro dell’Europa. Prima l’Ungheria!», ha detto Orbán in una delle prime dichiarazioni dalla vittoria, in cui ha sottolineato di aver trionfato nonostante un’opposizione che si era alleata. A oltre il 70% dello scrutinio, il premier uscente ha raggiunto il 54,6% delle preferenze con la coalizione composta dal partito di governo e dai cristiano-democratici di Kdnp; Peter Marki-Zay, che aveva radunato tutti gli altri partiti in una coalizione eterogenea e multipartitica sotto il nome di “Uniti per l’Ungheria”, non è andata oltre il 33,6% con soli 58 seggi – 7 seggi sono andati all’estrema destra con il 6,4% dei voti.

Non era bastato neanche l’appello del presidente ucraino Volodymyr Zelenskiy, che nella notte di sabato si era rivolto nuovamente a Orbán, definendolo l’unico in Europa a sostenere apertamente Putin - nonostante la condanna dell’attacco russo in Ucraina. Il primo ministro non si è mai scagliato direttamente contro il presidente della Federazione Russa, e non ha consentito la consegna di armi a Kyiv attraverso l’Ungheria. «Non ho paura a chiamare la guerra con il suo nome – aveva dichiarato il capo di Stato ucraino - questa si chiama onestà, cosa che manca a Viktor Orbán, forse l’ha persa da qualche parte nei suoi rapporti con Mosca». Proprio dalla capitale russa arrivano i complimenti di Vladimir Putin a Orbán per la vittoria del suo partito alle elezioni parlamentari: citato dall’agenzia di stampa russa Tass, Putin ha detto di essere fiducioso che un ulteriore sviluppo delle relazioni bilaterali corrisponda pienamente agli interessi degli abitanti della Russia e dell’Ungheria.

Nel giorno del trionfo, però, Viktor Orbán incassa anche una sconfitta: in concomitanza con le parlamentari, gli ungheresi erano chiamati a votare per il referendum sulla legge che vieta la promozione dell’omosessualità ai minori. La legge, approvata a giugno 2021, vieta di mostrare ai minori qualsiasi contenuto, che ritragga o promuova l’omosessualità o il cambio di sesso. Nessun quorum e festeggiamenti a metà per Orbán, che aveva ricevuto le critiche di Marki-Zay proprio per la legge omofoba attualmente in vigore in Ungheria e che include emendamenti contro altre forme di rappresentazione di orientamento sessuale oltre alla eterosessualità, nei programmi di educazione sessuale nelle scuole, nei film e nelle pubblicità rivolte agli under 18.

A 400km a sud di Budapest, a Belgrado, Aleksandar Vucic non poteva invece chiedere di più dai risultati elettorali: nelle elezioni parlamentari di domenica in Serbia, ottiene il 43,45% dei voti e 122 seggi in parlamento sul totale di 250 con il 91,02% delle schede scrutinate da parte della commissione elettorale. Il Partito del progresso serbo Sns del presidente conservatore Aleksandar Vucic si conferma prima forza politica e rivendica anche una larga vittoria alle presidenziali che si sono tenute in contemporanea.

«Affronteremo molte sfide - ha detto Vucic a margine dei risultati - ma la cosa più importante per i serbi è avere buone relazioni nella regione, continuare nella marcia verso l’Europa ma senza distruggere i rapporti con i suoi amici tradizionali». Ovvero, la Federazione russa: il rifiuto di condannare l’invasione russa in Ucraina è stata proprio la carta giocata da Vucic nelle ultime settimane di campagna elettorale mascherata come una neutralità. «Quello che importa per gli europei, per i russi, per gli americani, per tutti, è che continueremo la strategia della neutralità militare che ha avuto enorme sostegno e non ci uniremo ad alcuna alleanza militare».

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