Futuro

Chi vuole mettere le mani sull’Artico (e perché)

Con lo scioglimento dei ghiacci, il Nord del mondo potrebbe diventare terra di conquiste per idrocarburi, stock ittici, fonti fossili e commercio. Gli Stati Uniti ampliano le loro basi militari, osservando le mosse dei russi
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31 marzo 2022 Aggiornato alle 21:00

Lo sguardo puntato sull’Artico. Mentre la Russia prosegue la sua invasione in Ucraina, nel Nord del Pianeta gli Stati Uniti si preparano e addestrano in quello che potrebbe essere - in un futuro molto prossimo - un nuovo luogo di tensioni, conflitti e conquiste per gli equilibri economici e geopolitici del mondo.

Lassù, tra Alaska e Russia, divise da meno di 100 chilometri dallo stretto di Bering, si pianificano le mosse necessarie per farsi trovare pronti dalle nuove “opportunità” concesse dalla crisi climatica. A causa del surriscaldamento la regione, dove i tassi della crisi viaggiano a valori doppi, sempre più ghiacci sciolti e piattaforme frammentate offrono nuovi passaggi ed esplorazioni. Significa che con sempre più rotte disponibili, non solo per turismo e commercio, si aprono vie che in tempi di crisi energetica potrebbero portare alla corsa agli idrocarburi, i minerali e le risorse dell’Artico.

A raccontare come si stanno a esempio preparando gli Stati Uniti per questa possibile sfida del futuro, è un lungo articolo del New York Times che esamina le mosse dell’esercito americano. Spiega per esempio come negli ultimi giorni, mentre Putin continuava la sua guerra in Ucraina, squadre di soldati americani dopo essersi paracadutati in Alaska hanno iniziato specifiche esercitazioni: resistere al gelo, alla carenza di cibo, a scarsi carburanti e risorse, così come addestrarsi a realizzare campi o progettare sorta di trincee.

Oltre 120 uomini e donne che nella neve avevano il compito di capire fino a che punto potevano spingersi fisicamente e mentalmente. Un’esercitazione che in totale ha coinvolto quasi 8.000 soldati ed era stata pianificata molto tempo prima dell’invasione russa in Ucraina. Una pianificazione dovuta a una nuova e necessaria militarizzazione dell’Artico per gli States.

Qui, ricorda il Nyt, in un luogo di confine fra Russia e Usa con interessi commerciali anche di Cina, Canada, Danimarca e altri Paesi che occupano territori del Nord, le tensioni sono in aumento. Le nazioni rivendicano rotte marittime, possibilità di estrarre fonti fossili e esplorare i fondali a caccia di risorse di energia. Per questo, dopo che per anni la Russia si è già preparata con flotte ed eserciti a occupare l’Artico, ora gli Usa corrono ai ripari, investendo centinaia di milioni di dollari per espandere il porto di una località dell’Alaska chiamata Nome, così come per avere più caccia nella zona, oppure navi della marina e soldati nelle basi.

Aumentare la presenza e la capacità dei soldati di operare nella regione è uno dei piani per “riconquistare il dominio artico” ricorda il New York Times. Più le temperature continueranno a salire e modificare il Nord del Pianeta, più l’Artico secondo Usa e Russia potrebbe diventare zona di conquista. A fare golasono sempre più aspetti: dagli stock ittici, con i pesci che a causa del nuovo clima si spostano sempre di più verso i poli, alle rotte commerciali e turistiche, ma soprattutto alle fonti (spesso fossili) che questa zona del mondo potrebbe offrire.

Già negli ultimi anni, tra aerei e imbarcazioni ci sono stati vari segnali di tensione nel Mare di Bering e di recente, dopo le sanzioni Usa ai russi a causa del conflitto in Ucraina, si sono registrate provocazioni, come la richiesta di un membro del parlamento di Putin che ha esortato gli States a “restituire l’Alaska”.

A oggi rimangono aperte molte questioni irrisolte sulle regole che governano gli equilibri dell’Artico. Con l’escalation legata al conflitto russo, l’America non nasconde di sentire la necessità di “espandere basi ed esercito ora” nel cuore dei ghiacci. Anche perché, chiosa il servizio del Nyt, fra i problemi a cui prepararsi, visto quanto sta accadendo in Ucraina, i marines dovranno studiare perfino strategie “per il freddo per contenere la contaminazione chimica, biologica, radiologica e nucleare”. Non si sa mai.

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