Diritti

Elezioni in Ungheria: oltre Viktor Orbán c’è di più

Per la prima volta dal 2010, il premier si trova a gestire una sfida politica concreta e la reale minaccia di vedersi raggiunto dall’opposizione. Domenica 3 aprile la risposta in mano agli 8 milioni di elettori del Paese
Il primo ministro ungherese Viktor Orbàn
Il primo ministro ungherese Viktor Orbàn
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1 aprile 2022 Aggiornato alle 19:00

12 anni per plasmare un Parlamento con i propri valori e regole, un’elezione per convincere gli ungheresi che quel modello andrà bene per almeno un altro mandato. Anche se il palazzo del Parlamento della capitale Budapest non è stato costruito solo per lui, Viktor Orbán, primo ministro dell’Ungheria dal 2010. Ci sarebbe spazio per un’opposizione, guidata oggi da Péter Márki-Zay, sindaco della città meridionale di Hódmezővásárhely e sostenuto da una coalizione eterogenea e multipartitica sotto il nome di “Uniti per l’Ungheria”.

I conti si faranno domenica 3 aprile quando 8 milioni di ungheresi saranno chiamati alle urne per le elezioni parlamentari in un momento delicato per l’Europa, per Orbán e per l’amico di sempre, Vladimir Putin.

Lui, Viktor, che ha iniziato a fare politica in giovane età prima del cambio di regime dal comunismo di epoca sovietica alla democrazia: nel 1988 fonda Fidesz, il partito che è ancora sotto la sua guida e che ha trasformato verso idee di destra dopo la sconfitta elettorale del 1994. Nel 2000 Fidesz è diventato membro del Partito Popolare Europeo, da cui Orbán ha deciso di divorziare nel marzo 2021, dopo che il gruppo del Ppe all’Eurocamera aveva approvato una revisione del regolamento che semplifica le procedure di espulsione e sospensione, permettendo l’estromissione di interi gruppi e non più solo di singoli deputati.

Oltre alle critiche ricevute proprio dal Ppe principalmente per questioni relative allo stato di diritto e alle accuse di corruzione, dopo il 2015, l’anno della crisi dei rifugiati in Europa, la retorica anti-immigrazione è diventata un elemento caratterizzante del profilo di Fidesz e del suo leader. Fino all’inizio della guerra in Ucraina e all’esodo della popolazione verso i Paesi europei: «I migranti vengono fermati. I rifugiati possono ottenere tutto l’aiuto», aveva dichiarato il primo ministro ungherese riferendosi all’accoglienza del Paese nei confronti degli ucraini a due giorni dall’inizio dell’invasione russa.

Solo un paio di mesi fa, però, con l’avvicinarsi delle elezioni del 3 aprile, aveva descritto la pressione migratoria come superiore a quella del 2015, quando centinaia di migliaia di richiedenti asilo perlopiù provenienti dal Medio Oriente, arrivarono nell’Unione Europea scappando da guerre e povertà. A dicembre dello scorso anno, durante una delle rare conferenze stampa concesse ai giornalisti, Orbán disse che nell’anno appena concluso le autorità ungheresi avevano fermato e imprigionato «più di 100.000 persone». Anche se le cifre non sembravano essere le stesse di Frontex, l’agenzia di guardia di frontiera dell’Unione Europea: nel 2021 ci sono stati infatti 60.540 ingressi irregolari in tutta la cosiddetta rotta balcanica (dalla Grecia attraverso i Balcani) che coinvolge, tra gli altri Paesi, anche l’Ungheria.

In vista delle elezioni, persino Orbán si è subito recato alla città di frontiera di Beregsurany per dare ospitalità a migliaia di profughi fuggiti dall’Ucraina: «Faremo entrare tutti – aveva detto - Ho visto persone arrivare senza documenti, ma ci stiamo adoperando per fornirglieli».

Più difficile ascoltare a reti unificate la linea dell’oppositore Péter Márki-Zay sul nodo dell’accoglienza, soprattutto per il controllo sui media che Orbán è riuscito a instaurare in questi anni. Cattolico con 7 figli, Márki-Zay, in caso di vittoria, si era detto parzialmente pronto ad annullare la legge del 2018 che criminalizza avvocati e attivisti che aiutano i richiedenti asilo, ma anche favorevole a mantenere la barriera di separazione al confine con la Serbia, definendola uno strumento legittimo per controllare l’immigrazione clandestina e difendere i confini dell’Europa.

Tra le promesse del 49enne, quella di eliminare la legge omofoba attualmente in vigore in Ungheria (la normativa mira principalmente a combattere la pedofilia, ma include anche emendamenti che vietano altre forme di rappresentazione di orientamento sessuale oltre alla eterosessualità, nei programmi di educazione sessuale nelle scuole, nei film e nelle pubblicità rivolte agli under 18), ma anche di introdurre il matrimonio tra persone dello stesso sesso.

La critica feroce di Márki-Zay, reduce a ottobre dalla vittoria alle prime elezioni primarie nella storia dell’Ungheria contro la vicepresidente del Parlamento europeo, Klára Dobrev, è all’amico di sempre di Orbán, Vladimir Putin.

Per l’oppositore che si presenta alle elezioni senza un suo partito ma con una coalizione solida (include il partito dell’ex primo ministro socialista Ferenc Gyurcsány, Coalizione Democratica, e Jobbik, che ha corso contro di lui come partito di estrema destra), Orbán da quasi 12 anni tiene i piedi in due scarpe, con la Nato da una parte (di cui fa parte dal 1997) e Putin dall’altra. Nonostante la condanna dell’attacco russo in Ucraina, il primo ministro non si è mai scagliato direttamente contro il presidente della Federazione Russa, e non ha consentito la consegna di armi a Kyiv attraverso l’Ungheria. Secondo uno degli ultimi sondaggi del think-tank ungherese Publicus, il 43% degli intervistati è convinto che Viktor Orbán dovrebbe condannare più duramente la Russia per aver attaccato l’Ucraina: i due terzi affermano che il conflitto armato sia più un’aggressione che una difesa da parte dei russi.

Stando ai numeri, la corsa al Parlamento ungherese non sembra più così scontata: se le elezioni si fossero tenute il 20 marzo, sempre stando ai risultati di Publicus, il 33% degli intervistati avrebbe votato per l’alleanza Fidesz-KDNP (il partito di Orbán) e il 31% per l’alleanza di opposizione “Uniti per l’Ungheria”. Una partita tutt’altro che chiusa che si giocherà anche grazie ai voti degli ungheresi residenti nei Paesi vicini chiamati a esprimere il voto per posta. Come in Romania dove giovedì sera in una discarica di Târgu Mureș, in Transilvania, sono stati ritrovati sacchi pieni di schede elettorali ungheresi, alcune strappate, altre parzialmente bruciate - le immagini, girate da un giornalista locale, mostrano schede compilate a favore della coalizione di opposizione. Botta e risposta tra Márki-Zay e Fidesz: da una parte l’accusa di frode elettorale del partito di maggioranza, dall’altra quella di aver orchestrato tutto nel tentativo di distruggere i voti degli ungheresi in Paesi stranieri.

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