Economia

Il peso di un aggettivo

Decrescere ed essere felici? In una società dopata dall’idea della curva economica infinita, sembrava un’accoppiata d’azzardo. Oggi che siamo chiamati davvero a rallentare, basterebbe sostituire la parola felicità con solidarietà. Che meglio si sposa con le sfide del futuro
Credit: Tamanna Rumee
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29 marzo 2022 Aggiornato alle 08:00

Nel suo ultimo editoriale la direttrice di questo giornale ha definito “inevitabile” il concetto di decrescita felice. Aggiungendo, giustamente, che difficilmente sarà felice. E qui ha colto un punto secondo me essenziale. Aver associato al termine decrescita l’aggettivo “felice” ritengo sia una delle ragioni della scarsa fortuna che questo concetto ha fino a oggi incontrato, se non nelle ristrette cerchie di chi in qualche modo ne ha già fatto una scelta di vita.

Ma in una società culturalmente dopata dall’idea della crescita infinita, un organismo dove i consumi hanno la stessa funzione degli anabolizzanti per un bodybuilder che non ha voglia di farseli con l’allenamento, dove la crescita è la promessa a cui ogni governo si vincola, come poteva non essere quasi ridicolizzata una teoria secondo cui decrescendo si può persino essere felici? Ancora oggi se in un talk-show televisivo si vuole attaccare un avversario, accusarlo di essere a favore di una eresia politica ed economica come la decrescita è una mossa vincente.

Intanto, però, la decrescita è arrivata, già con la crisi finanziaria del 2008, ma in termini ancora più percepibili e diffusi con la pandemia Sars-Covid19, e ora con gli effetti del conflitto in Ucraina.

Cosa abbiamo fatto a partire da marzo 2020 se non limitare i consumi e valutare con una diversa attenzione su cosa vale la pena di investire tempo e denaro? Siamo forse stati felici di trovarci ad affrontare questo condizionamento? Comunque l’abbiamo fatto, chi più chi meno. E quando ci si chiede di tenere leggermente più bassa la temperatura in casa o in ufficio, di spegnere le luci inutili, di non sprecare – ovvero di diminuire qualche forma di consumo – ci possiamo definire felici? Più consapevoli forse, più responsabili.

Pensiamo di doverlo fare, non solo per le nostre tasche, ma per ragioni più ampie che ci riguardano come collettività presente e futura. Quindi è la promessa di felicità a essere fuori posto se affiancata al termine decrescita, perché l’idea di felicità che siamo abituati a inseguire non si concilia con la decrescita di fatto che stiamo vivendo. Stride. Il sentimento caratterizzante da associare dovrebbe semmai essere la solidarietà, consapevole o meno, ovvero ciò che si manifesta soprattutto quando ci si trova collettivamente ad affrontare una crisi.

Togliamo quindi di mezzo quella parola e riusciremo davvero a comprendere un’idea che corrisponde a pratiche e politiche tutt’altro che utopistiche o banalmente pauperiste.

Per le nostre economie, volenti o nolenti, la transizione verso modelli di sviluppo sostenibili non è evitabile, ma questo non implica che sarà anche giusta. Nelle concrete politiche di decrescita, o di adattamento alla non crescita, il contrasto alle disuguaglianze è incluso.