Diritti

Vogliamo normalizzare la disabilità a teatro

Al Di Qua Artists è la prima associazione europea per artistə con disabilità. L’obiettivo è denunciare le diverse forme di inacessibilità nel mondo dello spettacolo. Con un video-manifesto
Valeria Pantani
Valeria Pantani giornalista
Tempo di lettura 3 min lettura
26 marzo 2022 Aggiornato alle 17:00

Secondo le Nazioni Unite e Unicef, al mondo ci sono più di 1 miliardo di persone con disabilità, di cui almeno 240 milioni minorenni. Ma la disabilità non è una sola ed è importante non generalizzare, in quanto ognuna porta a necessità diverse. Lo ha chiarito bene Diana Anselmo, presidente di Al Di Qua Artists (Alternative Disability Quality Artists), prima associazione europea gestita da artistə con disabilità per lavoratorə del mondo dello spettacolo con disabilità.

In occasione della presentazione del loro video-manifesto (al Cinema Nuovo Sacher di Roma il 23 marzo) Anselmo ha raccontato di quando una volta, a teatro, dovette sedersi in ultima fila in una postazione più spaziosa e riservata alle persone con disabilità. Ma in realtà lei, portatrice di una disabilità uditiva, avrebbe preferito una poltrona vicina al palcoscenico, così da riuscire a leggere più facilmente il labiale degli attori. Perché diverse disabilità portano a diverse richieste.

«Non possiamo più accettare - si ascolta e legge nel video - che sotto un unico confortevole termine dal sapore medico scientifico vengano raccontati e appiattiti i nostri corpi, le nostre storie, le nostre mutevoli identità».

Al Di Qua si occupa di denunciare la mancata attenzione all’accessibilità per le persone con disabilità in platea, per attorə sul palco e per ə lavoratorə dietro le quinte. «All’opposto estremo della disabilità non c’è il corpo abile ma l’accesso», ha dichiarato Diana Anselmo a La Svolta.

Il primo problema (forse il più noto ma non per questo scontato) riguarda l’accesso fisico e architettonico al palco e alle quinte. E questo, ha spiegato l’associazione, è perché si fatica a pensare ad attorə in sedia a rotelle.

C’è poi il problema dell’inaccessibilità alla formazione di artistə e lavoratorə. Qui è intervenuta dal pubblico Grace, donna sorda: «Non c’è una scuola di teatro adatta a persone sorde. Devo invece pagare un interprete perché nella scuola non è previsto, e magari anche dei materiali come quelli per la dizione, per argomenti che non mi riguardano. Alla fine vado a frequentare un corso che non mi forma».

Ma l’inaccessibilità è anche culturale. Tra i vari esempi è stato menzionato il film Corro da te, dove l’attrice non disabile Miriam Leone interpreta una ragazza in sedia a rotelle. «Un film - ha spiegato Chiara Bersani, attivista dell’associazione con disabilità motoria - raccontato da un corpo che non ha nulla a che fare con il mio». Il problema non è che mancano i ruoli di persone con disabilità, ma attorə con disabilità. E questo perché l’abilismo è radicato persino nel mondo dello spettacolo.

Anche la produzione di un’opera fruibile da chiunque, persone con disabilità e non, è una questione di accessibilità culturale. Per Al Di Qua la soluzione è informarsi, chiedere e coinvolgere. «Troppe cose vengono date per scontate. Per questo è necessario comunicare con le persone che le vivono queste cose». Perché non parlare di disabilità, magari per paura di sbagliare o essere inopportuni, porta ad avere grandi assenze.

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