Chissà che fine farà il Calderone
“Gli scienziati italiani stanno correndo contro il tempo per studiare, scansionare e campionare il ghiacciaio più meridionale d’Europa prima che si sciolga e scompaia a causa dell’aumento delle temperature globali”: l’indagine condotta dal Centro Nazionale delle Ricerche e l’Università Ca’ Foscari di Venezia ha trovato spazio sulle pagine dell’Associated Press, l’agenzia di stampa internazionale con sede a New York.
Si tratta di un progetto che vuole raccontare la storia climatica e ambientale dell’Italia centrale a partire dall’analisi chimica del ghiacciaio del Calderone, a 2.600 metri di altezza, all’ombra delle pareti del Gran Sasso. È uno dei corpi glaciali più meridionali d’Europa, l’unico della catena montuosa degli Appennini, e ogni anno perde circa un metro di spessore, su una profondità massima di 25/30 metri. Per dare un’idea, uno dei ghiacciai più lunghi d’Europa, quello svizzero dell’Aletsch nel canton Vallese, raggiunge uno spessore massimo di 900 metri. L’arretramento dei ghiacciai è stato più volte rilevato, insieme a una forte diminuzione del loro spessore, a partire da un primo ritiro dal 1860 in avanti.
Secondo il Cnr, i ghiacciai situati a un’altitudine inferiore a 3.600 metri scompariranno entro il 2100 se le temperature continueranno a salire al ritmo attuale. Il ghiacciaio del Calderone si trova a un’altitudine di 2.700 metri e per questo rischia di sciogliersi molto prima del previsto: gli esperti dicono che accadrà entro il 2050, se non verranno prese misure drastiche.
L’Associated Press ha seguito il ricercatore Jacopo Gabrieli, dell’Istituto di Scienze Polari del Cnr, e la sua squadra, nella loro indagine preliminare del 13 marzo. Attraverso i ghiacciai come il Calderone e grazie all’interesse degli scienziati come Gabrieli per questi ambienti, «possiamo spiegare come sta cambiando il clima - perché sta cambiando -, come l’uomo lo sta influenzando e cosa possiamo fare per ridurre il nostro impatto sul Pianeta».
I ricercatori del team veneziano, in collaborazione con colleghi dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, dell’Università degli Studi di Padova e della società Engeoneering Srls, sono arrivati sul Calderone per svolgere indagini geofisiche, con georadar e elettromagnetometro, e topografiche. Serviranno a registrare «la profondità e la morfologia tra neve e ghiaccio, e tra ghiaccio e roccia. In questo modo possiamo misurare gli spessori e ricostruire la morfologia del fondo del ghiacciaio», ha spiegato Stefano Urbini, ricercatore presso l’Ingv, durante il rilievo.
I campioni del Calderone saranno conservati presso l’archivio mondiale “Ice Memory”, in Antartide, una sorta di biblioteca dei ghiacciai di tutto il mondo. Il progetto, riconosciuto dall’UNESCO, mira a preservare una testimonianza dei ghiacciai attuali, minacciati dal riscaldamento globale, per le generazioni future. A partire dal 2015, nel sito sono state trasferite e conservate le carote – così si chiamano i campioni dei ghiacciai, per la loro forma a cono – provenienti da diverse aree del Pianeta: dal Col du Dôme sul Monte Bianco, in Italia, all’Altai, in Russia, passando per il georgiano Monte Elbrus, al Nevajo Illimani in Bolivia.
Il ghiacciaio del Calderone, già diviso in due a causa del riscaldamento globale, è uno dei termometri cruciali dei cambiamenti climatici, oltre che uno scrigno di informazioni atmosferiche: «Può raccontarci la storia climatica e ambientale del Mediterraneo», ha sottolineato Gabrieli, che armato di racchette da neve e apparecchiature elettromagnetiche ha sondato il terreno per determinarne la stratificazione.
Il mese prossimo lui e gli altri ricercatori torneranno per perforarlo e prelevare nuovi campioni. Una missione che permetterà alle generazioni future di osservare quel che fu dei ghiacciai di cui potremo godere ancora per poco.