Diritti

Umanità, ritrova te stessa

Solo due anni fa riconoscevamo le nostre fragilità e ci riproponevamo di diventare migliori. Ma, come in un inatteso contrappasso, il mondo si è scoperto di nuovo vulnerabile ed esposto al male, all’odio, alla guerra. Cosa può insegnarci la storia che stiamo vivendo?
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17 marzo 2022 Aggiornato alle 08:00

Sono trascorsi solo due anni da quando, nel pieno del primo lockdown, l’umanità riconosceva le proprie fragilità e si riproponeva di diventare migliore, in molti casi sinceramente e in altri ancora retoricamente.

Questi propositi hanno consentito di rafforzare e accelerare un ambizioso framework di policy a livello globale: GDS Onu 2030; i programmi Green New Deal, Next Generation EU e Addis Ababa Action; COP26 e la Glasgow Financial Alliance for Net Zero. E poi ancora gli Accordi di Pace di Abramo, le encicliche Laudato si’ e Fratelli tutti di Papa Francesco.

Un’agenda di futuro centrata su un nuovo modello di sviluppo, a sua volta incardinato sulle grandi sfide di transizione socio-economica, ecologica, digitale e democratica.

Sostenibilità, cooperazione, inclusione, coesione, prossimità, equità, fraternità, giustizia, apertura, multilateralismo: sono queste le parole - insieme a molte altre - che hanno ridefinito il nostro linguaggio pubblico, animato le nostre riflessioni corali, disegnato il nostro orizzonte comune e nutrito le nostre aspirazioni collettive.

Gli eventi delle ultime settimane, la guerra in Ucraina e, sullo sfondo, l’ancor più temibile scontro per un nuovo ordine mondiale, come in un inatteso contrappasso, sembrano interrompere drasticamente questo percorso. Niente sarà come prima” ci siamo ripetuti continuamente, riferendoci alla pandemia. Oggi queste stesse parole assumono un significato opposto ma non ne abbiamo acquisito ancora piena consapevolezza. Non ci siamo resi conto di quanto sarebbe successo, abbiamo ignorato i tanti segnali premonitori, siamo rimasti aggrappati a una visione superficiale e illusoriamente positiva della realtà.

Ancora oggi facciamo fatica ad accettare e decifrare la cronaca di uno scenario per molti versi distopico. Stupore, angoscia, confusione e smarrimento si rincorrono. Il mondo si è riscoperto vulnerabile, esposto all’abisso del male assoluto. È stato infranto, irreparabilmente, il codice consolidato da decenni: dal diritto si è passati alla violenza, dalla diplomazia alle armi. Si susseguono le analisi alla ricerca di una interpretazione autentica dell’orrore che ha fatto irruzione nella nostra quotidianità.

Qualcuno, tuttavia, inizia a chiedersi: è tutto frutto della decisione stolta di una sola persona, sopraffatta da un’anacronistica volontà di potenza? C’è qualcosa di più profondo da indagare e comprendere? È ineluttabile il perenne alternarsi di guerra e pace, di buio e luce, di bene e male? Alla “cultura” della guerra abbiamo saputo rispondere con una autentica “cultura” della pace? Cosa può e deve insegnarci la storia che stiamo vivendo?

La risposta non può che essere nell’umano, intorno all’umano, in ogni umano, in ciascuno di noi. Il vero scontro è nella concezione dell’umano e dell’umanità. La crisi della storia è sempre crisi dell’umano e dell’umanità. Troppe volte corriamo il rischio di dimenticare questa verità, eppure appare evidente la questione fondamentale, che ci riguarda e ci interroga tutti poiché non fa distinzione di buoni e cattivi: chi è l’umano per noi? È l’umano materiale ed economico o è, anche, l’umano relazionale e spirituale? È l’umano della pietra e della fionda? O è l’umano della conoscenza generativa? È il predatore perennemente a caccia di nuovi territori e nuove vittime, a sua volta esso stesso costantemente cacciato? O è l’interprete e il custode del creato e delle sue leggi fondamentali? È l’umano lupo per gli altri uomini (“homo homini lupus”) ripiegato su istinti di odio, divisione, sopraffazione ed egoismo? O è l’umano sacro per ogni altro umano (“homo, sacra res homini”) capace di sentimenti di amore, amicizia, fratellanza e altruismo? È l’umano sempre in guerra con il fratello (“bellum omnium erga omnes”)? O è l’umano che muore in croce per il fratello (“agnus ductus a victimam”)?

Solo nella propria origine l’uomo può riconoscere ed esprimere la sua vera natura” diceva Feuerbach. Nel pieno della Guerra Fredda, San Giovanni Paolo II, nell’Atto Europeistico, si rivolse all’Europa con parole di straordinaria intensità: “Grido con amore a te, antica Europa. Ritrova te stessa. Sii te stessa. Riscopri le tue origini. Ravviva le tue radici”.

Oggi più che mai quelle parole sono attuali e, traslandole, potremmo dire: “Umanità ritrova te stessa. Sii te stessa!” Non si tratta quindi, solamente di stabilire chi ha torto o chi ha ragione, in tempo di pace o in tempo di guerra. Si tratta piuttosto, di fare tutti insieme un grande e sostanziale passo in avanti. Abbiamo urgente bisogno, quindi, di consolidare una più matura e solida visione antropologica, quale frutto di una rinnovata saldatura tra la prospettiva ontologica (etica e sapienziale) e la prospettiva dinamica-organica (storica e sociale) che, da sola, si è rivelata insufficiente a interpretare e risolvere la complessità di questioni così decisive.

Solo l’umano rigenerato nei propri principi costitutivi può abbattere e superare le intransigenze miopi di ogni radicalismo, relativista o dogmatico che sia. Solo l’umano autentico può generare una umanità autentica armonica.

Perché, come ci ricorda Di Bruno, “L’armonia, quella vera, non è nelle cose, ma nell’uomo”.

Francesco Cicione è Presidente Entopan