Futuro

La società che vuole scattarci 100 milioni di foto

Il Garante della privacy ha multato l’americana Clearview AI, specializzata nel riconoscimento facciale. Avrebbe raccolto in modo illecito dati personali, inclusi parametri biometrici e di geolocalizzazione. Anche in altri 24 Paesi
Fabrizio Papitto
Fabrizio Papitto giornalista
Tempo di lettura 5 min lettura
16 marzo 2022 Aggiornato alle 21:00

Una sanzione da 20 milioni di euro: è la cifra che la società americana Clearview AI, specializzata nel tracciamento tramite riconoscimento facciale e già al centro di numerose controversie internazionali, dovrà versare per aver raccolto in modo illecito dati personali, inclusi parametri biometrici e di geolocalizzazione, mettendo in atto «un vero e proprio monitoraggio di persone che si trovano nel territorio italiano». Lo ha deciso il Garante della privacy.

Non è possibile conoscere il numero esatto dei soggetti coinvolti, ma «considerato che la raccolta di immagini è avvenuta “a strascico” con tecniche di web scraping (dall’inglese to scrape, “raschiare”, ndr.)», spiega lo stesso Garante, «è ragionevole ipotizzare che coinvolga un elevatissimo numero di interessati, potenzialmente tutte le persone fisiche che si trovano in Italia e sono presenti su Internet».

Ad essere stati violati, si legge nel comunicato stampa, sarebbero gli «obblighi di trasparenza, di limitazione delle finalità del trattamento e di conservazione dei dati». Oltre ad averne bandito la raccolta e disposto l’obbligo di cancellare quelli finora in suo possesso, l’Autorità ha imposto alla società di designare un rappresentante all’interno dell’Unione europea con l’obiettivo di agevolare l’esercizio dei diritti degli interessati.

Il Garante italiano non è il solo a essersi interessato al network per il riconoscimento facciale. A febbraio dello scorso anno, l’omologa Autorità di Amburgo ha ordinato alla società che venissero cancellate tutte le informazioni relative a un cittadino tedesco che aveva presentato richiesta all’azienda.

La start-up è stata fondata nel 2019 da Hoan Ton-That, un tecnico australiano con un breve passato da modello, insieme al politico Richard Schwartz, collaboratore di Rudolph Giuliani quando negli anni ‘90 è stato sindaco di New York. A renderla di dominio pubblico fu un articolo del New York Times firmato dalla giornalista Kashmir Hill nel gennaio 2020 dal titolo: La società segreta che potrebbe porre fine alla privacy come la conosciamo.

L’azienda, si leggeva nel pezzo che per primo ne denunciò l’utilizzo irregolare da parte delle forze dell’ordine e di alcune aziende, «va ben oltre qualsiasi cosa mai costruita dal governo degli Stati Uniti o dai giganti della Silicon Valley». Nei mesi successivi, Clearview AI è stata portata in tribunale in Vermont e in Illinois, bandita da Canada e Australia e citata in giudizio dallo Stato della California. Le contestazioni, che hanno spinto l’azienda a cessare le vendite agli enti privati statunitensi, si sono estese anche all’Europa.

Un’inchiesta condotta da BuzzFeed News ha rivelato che tra il 2018 e il 2020 la tecnologia di riconoscimento facciale di Clearview è stata impiegata da forze dell’ordine e organizzazioni governative di 24 Paesi al di fuori degli Stati Uniti inclusa l’Italia, dove la Polizia si è rifiutata di rispondere alla richiesta di commento rivoltale dalla testata online.

Nel maggio 2021, una coalizione formata dalle autorità di regolamentazione di Regno Unito, Francia, Austria, Grecia e Italia, rappresentata dal Centro Hermes per la trasparenza e i diritti umani digitali, ha promosso un’azione collettiva sostenendo che «l’impiego di sistemi per il riconoscimento facciale, e specialmente qualunque modello di business che punta a sfruttarli, solleva gravi preoccupazioni per le società moderne e le nostre libertà individuali».

Anche i principali bacini da cui attinge il database di Clearview AI, come Google, Facebook, LinkedIn, Twitter e YouTube, hanno preso le distanze dall’azienda chiedendo di interrompere l’analisi e la raccolta dei dati provenienti dalle piattaforme.

Nonostante le proteste di consumatori, tech company, associazioni e istituzioni, Clearview continua ad agire appellandosi alla libertà di espressione sancita dal primo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti. In una presentazione rivolta agli investitori rivelata il mese scorso dal Washington Post, la società avrebbe dichiarato di voler raggiungere 100 miliardi di foto entro un anno, in media 14 foto per ogni persona sulla Terra, così da garantire che «quasi tutti nel mondo saranno identificabili».

È probabile, quindi, che Clearview abbia in possesso le vostre foto archiviate in modo arbitrario dal web. Come testimoniato dall’esperienza diretta dei giornalisti Luca Zorloni e Riccardo Coluccini, uno dei promotori della campagna europea Reclaim Your Face, per saperlo potete inviare una mail direttamente all’azienda, meglio se allegando il modello compilato che trovate sul sito del Garante della privacy. Entro i 30 giorni previsti dalla legge vi arriverà un pdf con la risposta.

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di Redazione 2 min lettura