Ambiente

La corte australiana contro i giovani attivisti del clima

Un discusso ricorso giuridico ha ribaltato una storica sentenza del 2021, dando ragione alla ministra dell’Ambiente: «Non è responsabile delle conseguenze del climate change sulla salute dei bambini»
Una manifestazione del movimento ecologista Extinciton Rebellion a Brisbane, in Australia.
Una manifestazione del movimento ecologista Extinciton Rebellion a Brisbane, in Australia.
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
16 marzo 2022 Aggiornato alle 19:00

Nel 2021 otto adolescenti e una suora di 87 anni convinsero un tribunale australiano che il governo locale aveva un dovere legale nei confronti dei bambini in merito agli effetti dei cambiamenti climatici. Nel dettaglio, il gruppo diceva che la ministra dell’Ambiente avrebbe dovuto valutare la loro salute prima di dare l’ok a un progetto legato ai combustibili fossili.

Si trattava di una decisione mai presa prima di allora, celebrata nel mondo come un cambio di paradigma rispetto alle istituzioni e al loro approccio alle tematiche climatiche. Ma, quasi un anno dopo la prima sentenza, la ministra dell’Ambiente, Sussan Ley, ha impugnato la causa e ha vinto il suo ricorso. Secondo i giudici il dovere di «evitare danni ai bambini nella valutazione di un progetto legato alle industrie a carbone non deve essere imposto alla ministra».

Nel Paese che si è meritato il 60° e ultimo posto per la propria risposta alla crisi climatica nel rapporto pubblicato lo scorso anno al vertice globale sul clima della COP26, la decisione è stata presa all’unanimità dalla Corte federale australiana. L’organo ha ribaltato la precedente vittoria delle giovani che avevano intentato l’azione collettiva e che potrebbero oggi presentare un ricorso contro la decisione presso l’Alta Corte Suprema australiana.

A maggio del 2021 il giudice Mordecai Bromberg aveva deciso che la responsabilità di proteggere i giovani dal cambiamento climatico apparteneva a Ley, che ai tempi voleva approvare l’espansione della miniera di carbone di Vickery, nel Nuovo Galles del Sud, che si stimava avrebbe potuto aggiungere altri 170 milioni di tonnellate di emissioni di combustibili fossili nell’atmosfera terrestre. Quattro mesi dopo la sentenza che dava ragione al gruppo di attiviste, Ley aveva già approvato l’ampliamento della miniera di carbone.

A guidare il gruppo di attivisti adolescenti è Anj Sharma, 17 anni, che ha sostenuto che la ministra dell’Ambiente aveva il cosiddetto “duty of care”, il dovere di cura, nei confronti dei giovani colpiti dal climate change e che questo doveva essere preso in considerazione nell’approvazione di quei progetti che producono gas serra. Quando è partita, l’azione collettiva sosteneva anche che scavare e bruciare carbone avrebbe innalzato le emissioni di CO2 e danneggiato i giovani in futuro. «La sentenza di oggi ci lascia devastati, ma non ci scoraggerà nella nostra lotta per la giustizia climatica», ha dichiarato Sharma ai suoi avvocati.

La 15enne Izzy Raj-Seppings, anche lei coinvolta nel caso, ha dichiarato che «I nostri legali esamineranno la sentenza e potremmo avere altro da dire nelle prossime settimane: anche se la sentenza di oggi non è andata come volevamo, c’è ancora molto da celebrare. La corte ha accettato che saranno i giovani a subire le conseguenze peggiori dell’impatto della crisi climatica».

Perché se è vero che, secondo i giudici, non è dovere del ministro dell’Ambiente prendersi cura dei bambini australiani, la sentenza ha comunque riconosciuto e non contestato le prove del cambiamento climatico e dei suoi pericoli per l’umanità. Sharma ha anche dichiarato che, comunque, «questa sentenza non cambia l’obbligo morale del ministro ad agire contro il cambiamento climatico. La scienza non cambia, gli incendi non si spegneranno e le acque alluvionali non verranno drenate. Non ci fermeremo nella nostra lotta per la giustizia climatica. Il mondo sta guardando».

Secondo Jacqueline Peel, professoressa alla Melbourne Law School e direttrice del gruppo di ricerca Melbourne Climate Futures, «questa decisione è uno scaricabarile, perché è come se dicesse: “Guarda, non è il ruolo dei tribunali prendere queste decisioni, è il ruolo dei nostri governi”. Ma parte dei motivi per cui queste giovani hanno citato in giudizio il governo, in primo luogo, è proprio la mancanza di una politica governativa efficace».

La suora cattolica Brigid Arthur, tutrice legale delle minorenni coinvolte nel caso, l’anno scorso aveva detto alla Bbc che avevano «tutto il diritto di chiamare le persone a rendere conto». L’Australia è anche il secondo esportatore di carbone al mondo e il primo ministro Scott Morrison ha dichiarato che l’industria opererà in questo settore nei «decenni a venire». Ma, entro il 2050, l’Australia ha un obiettivo: raggiungere le zero emissioni nette di CO2. Basteranno 28 anni di tempo? I presupposti nn sono dei migliori, per ora.

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