Diritti

Storia di chi accoglie madri e figli in fuga dalla guerra

Sono decine le associazioni italiane che si sono messe in campo per accogliere i bambini e le famiglie ucraine. Una di queste, La Matrioska Onlus, racconta qui l’iter per l’accoglienza e l’inserimento dei più piccoli nella comunità e nelle scuole
Un gruppo di profughi ucraini accolti alla Stazione Centrale di Milano dalla Protezione Civile.
Un gruppo di profughi ucraini accolti alla Stazione Centrale di Milano dalla Protezione Civile.
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 6 min lettura
15 marzo 2022 Aggiornato alle 11:00

Leopoli, che in ucraino si chiama Lviv, è una città nell’estremità occidentale dell’Ucraina a 70 chilometri dalla Polonia, alla frontiera dell’Unione europea. Qui il rumore delle bombe non era ancora arrivato prima di domenica: a 30 chilometri a nord-est della città, i missili russi hanno colpito Yavoriv, uno dei centri ucraini degli aiuti umanitari e militari.

«Il primo vero disastro in quelle zone è arrivato quando i bambini e le donne che abbiamo accolto erano già qui in Italia, al sicuro», spiega Nicoletta Fadani, presidente dell’associazione La Matrioska onlus, che dal 2008 organizza soggiorni di studio per gruppi di bambini ucraini, invia loro aiuti umanitari e sostiene laboratori e attività culturali presso la scuola Prosvita di Lviv.

L’associazione è stata una delle prime, in Italia, a raggiungere il confine polacco e recuperare chi scappava dall’Ucraina. Secondo i dati del Viminale aggiornati al 14 marzo, si tratta di 38.539 persone, di cui 19.566 donne, 3.373 uomini e 15.600 minori: «Abbiamo raggiunto la dogana di Dołhobyczów, che è una delle più a nord, verso la Bielorussia, ed è quella in cui c’è meno coda. Le altre, come Medyca, vedono passare ogni giorno carovane di persone giunte con ogni mezzo, anche a piedi». Ma si tratta di luoghi ben distanti dalle città, «quindi molti si fanno accompagnare, prendono i pullman di linea che partono dalle città, alcuni arrivano alla stazione del treno di Przemyśl, in Polonia, che è una delle poche collegate con un servizio ferroviario. Da lì, Dołhobyczów dista ancora due ore in macchina» spiega Fadani.

L’associazione La Matrioska, per 15 anni, ha ospitato bambini provenienti dalla scuola Prosvita di Lviv, ma durante la pandemia ha rischiato di chiudere i battenti perché con il Covid-19 il ministero delle Politiche Sociali aveva sospeso tutti i soggiorni «e noi non eravamo più utili». E, ora, invece, lo sono più che mai. Le piccole associazioni come questa non possono entrare in zona di guerra, come la capitale Kyiv, e si devono fermare al confine, prima del passaggio di frontiera.

Le donne e i bambini presi sotto l’ala di Nicoletta Fadani sono 27, per ora, tutti da Lviv. Quasi nessuno dei piccoli è vaccinato, mentre le madri hanno ricevuto Pfizer in Ucraina, che è uno dei Paesi con il più basso tasso di vaccinazione contro il coronavirus. Tutti, anche i bambini, sono risultati negativi al Covid-19. Il più piccolo ha due anni ed è arrivato con la sua mamma: «Senza un genitore possono espatriare solo dai 7 anni in su, e ne abbiamo uno di quell’età non accompagnato. Il più grande, invece, ne ha sedici».

Per i minori non accompagnati che provengono dall’istituto di Prosvita, è stato il Tribunale dei minori dell’Ucraina ad affidare loro un tutore legale, che ne ha la potestà genitoriale: firma il permesso per espatriare dal Paese e l’associazione deve farvi riferimento per qualsiasi cosa.

Nel drammatico caso in cui il minore dovesse ritrovarsi solo una volta arrivato qui, con i genitori vittime di qualche tragico avvenimento in Ucraina, sarebbe il Tribunale dei minori italiano a prendersene carico e trovargli un tutor provvisorio. Poi, una volta tornato a casa, dovrebbero vedersela le autorità locali.

Molte delle madri che sono arrivate, preoccupate più per i figli e per i mariti lasciati al fronte che per sé, «erano ancora bambine quando le abbiamo ospitate per la prima volta e, nel momento del bisogno, hanno deciso di contattare le loro “famiglie” italiane per cercare un luogo sicuro», racconta Fadani, la cui associazione ha dato priorità a coloro che li avevano già ospitati in passato, privilegiando chi abita nella cittadina in cui dovranno stare per quello che potrebbe essere «un soggiorno molto lungo»: Pianezza, in provincia di Torino.

«I bambini hanno iniziato ad andare a scuola lunedì 14 marzo, quindi volevamo che stessero in una località comoda sia per loro che per le famiglie che se ne occupano. Si chiede loro di farli frequentare, di incontrarsi spesso, per non farli sentire soli o spaesati». Prevalentemente si tratta di famiglie di insegnanti o genitori che sono inseriti nella vita scolastica, perché La Matrioska Onlus nasce prima di tutto come progetto scolastico: «L’associazione è nata lì, tra i banchi, fondata da insegnanti e genitori.

Difficilmente ci allontaniamo da questo target per scegliere a chi affidare i bambini: escludiamo categoricamente, su indicazione del ministero, le famiglie che hanno già avviato un iter di adozione e gli uomini da soli». In media si tratta di persone giovani, coppie con figli, e due o tre coppie di pensionati.

Bisogna contare che non esiste, in questa crisi, un limite massimo di permanenza: «Abbiamo firmato affinché tornino in Ucraina appena ci saranno le condizioni per farlo, perché non si tratta né di adozione né di affido, ma di ospitalità temporanea. Sarà l’ambasciata di Varsavia a dirci fino a quanto durerà questo soggiorno in emergenza».

In tempo di guerra deve essere un ente istituzionale a firmare l’invito a ospitare madri e bambini provenienti dai Paesi in difficoltà, non basta la sola associazione: «Con il supporto di Roberto Signoriello, primo cittadino di Pianezza, abbiamo raggiunto l’ambasciata di Varsavia, fatto i documenti a chi non li aveva, - è necessario il visto, per chi non ha il passaporto biometrico, per poter entrare in Europa – e, dopo una giornata intera, ottenuto il visto attuale che vale fino a giugno, ma potrà essere rinnovato».

I bambini sono stati accompagnati da un’insegnante, «giovanissima», che ne è anche la responsabile, e sono stati inseriti in tre classi: una dell’infanzia, un’altra di scuola primaria e una secondaria. «È già partito un bando per cercare insegnanti e mediatori culturali, perché il ministero ha già stanziato dei fondi per l’inserimento degli ucraini. Nel frattempo, ci aggiustiamo tra noi, con dei volontari che sono quasi tutti insegnanti».

Sulla pagina Facebook dell’associazione spiccano gli zainetti rossi, gialli e blu carichi di quaderni e portapenne distribuiti ai bambini e donati dalla Comunità. «Hanno un po’ di paura per quel che è accaduto a casa loro, ma si stanno pian piano abituando all’idea di essere qui», racconta Fadani. Non si sa per quanto tempo durerà questa condizione. Ma, fino ad allora, le associazioni come La Matrioska Onlus, li faranno sentire a casa.

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