Ambiente

Cercasi deposito italiano di rifiuti radioattivi

Dopo lo stop del 2015, nei prossimi giorni il MiTe riceverà la Carta delle aree idonee a ospitare le scorie delle nostre ex centrali. Una di queste dovrà accogliere per i prossimi 300 anni rifiuti radioattivi prodotti dal Paese
Riccardo Liguori
Riccardo Liguori giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
14 marzo 2022 Aggiornato alle 11:00

Per l’Italia, riparte il percorso che porterà alla scelta del sito dove sorgerà il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi.

Questo appuntamento era atteso da anni. Nello specifico, dal 2015, quando la società responsabile dello smantellamento degli impianti nucleari (Sogin) consegnò la Carta delle aree potenzialmente idonee (Cnapi) al governo e all’Istituto superiore per la Ricerca e Protezione ambientale (Ispra). Tuttavia, l’iter venne bloccato, in attesa di sviluppare le valutazioni del caso.

Nel futuro deposito nazionale, verranno custoditi i rifiuti radioattivi così come le scorie prodotte dalle centrali nucleari un tempo operative sul nostro territorio, che presentano un’elevata radioattività e tempi di decadimento estremamente lunghi. La struttura ospiterà circa 95.000 metri cubi di materiale. Di questi, le scorie nucleari propriamente dette, dunque il combustibile esausto, saranno 400 metri cubi, cui va aggiunto il materiale radioattivo derivante dallo smantellamento degli ex impianti.

Quello italiano non sarà un deposito di profondità, spiega il fisico Luca Romano, noto sui social con il nome di Avvocato dell’Atomo: secondo l’esperto «sarà sicuro e di eccellenza tecnologica. Ospiterà un centro di ricerca, creerà posti di lavoro e non impatterà né sul territorio né sulla nostra salute». Custodirà in un unico luogo tutto il materiale, prodotto dal nostro Paese, gran parte del quale spedito all’estero nel corso degli anni oppure stoccato in depositi temporanei italiani.

Nel futuro deposito nazionale italiano, i rifiuti radioattivi verranno cementificati e inseriti all’interno di un manufatto dalla forma di barile collocato in una cella di cemento a sua volta contenuta in una struttura più grande, sempre di cemento. «Sopra queste strutture – continua Romano – verrà edificata una collina artificiale per ridurre l’impatto visivo paesaggistico e garantire un’ulteriore barriera. Parliamo dunque di un sistema di quattro barriere».

Il deposito è progettato per durare 300 anni: un tempo oltre il quale tutti i rifiuti contenuti cesseranno di essere pericolosi. Le scorie nucleari saranno confinate in una struttura separata e provvisoria del deposito dove rimarranno finché non verrà costruito una struttura europea comune. Questa sezione sarà protetta da barriere ultraresistenti in triplo strato di cemento armato, ceramica e acciaio. «È pensata per resistere a esplosioni, terremoti, impatti aerei e missili».

Una volta confluiti nel deposito nazionale e raggiunto un livello di radioattività giudicato basso, i rifiuti radioattivi potranno essere smaltiti in una normale discarica oppure riciclati.

La stessa Sogin, sottolinea il fisico, ha creato un sito interattivo dove si risponde a qualunque tipo di domanda, vengono proposte immagini e spiegazioni nel dettaglio

Entro marzo, Sogin invierà al ministero della Transizione ecologia la Carta nazionale delle aree idonee (Cnai). A quel punto, la Carta sarà analizzata dall’Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione (Isin) e dovrà ricevere l’ok dei ministeri delle Infrastrutture e dell’Università.

Terminata questa fase, entro trenta giorni dalla sua pubblicazione, intorno al documento verranno avviate le trattative con regioni ed enti locali interessati “a conseguire l’intesa sulle aree della Cnai dove realizzare il deposito”, ha spiegato il MiTe in una nota.

Ad oggi sono decine i depositi radioattivi in tutta Europa, anche in Paesi che non hanno mai ospitato centrali nucleari ma hanno generato rifiuti radioattivi nel settore industriale, medico e della ricerca. « E in nessuna di queste aree è stato mai riscontrato un problema» spiega Luca Romano. «È improbabile che l’Italia faccia un deposito nazionale specifico per le scorie radioattive perché non ne vale la pena, avendo prodotto poche storie. Molto più probabilmente, si aspetterà che venga costruita una struttura europea comune».

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