La Torre dei Pomodori, a sud-ovest di Siena: faceva parte dello stabilimento I.D.I.T. negli anni Sessanta
La Torre dei Pomodori, a sud-ovest di Siena: faceva parte dello stabilimento I.D.I.T. negli anni Sessanta (Carlo Vigni)
Ambiente

La Torre dei Pomodori, simbolo di un sogno industriale italiano fallito

È alta 75 metri, ha un diametro di 16 e appare all’improvviso tra le colline senesi come un relitto adagiato in fondo al mare. Costruita nel 1959, è un esempio di architettura industriale abbandonato alle porte della Val d’Orcia, patrimonio Unesco. Oggi un progetto punta a trasformare il “rudere” in galleria d’arte
di Silvia Giagnoni
Tempo di lettura 7 min lettura
14 marzo 2022 Aggiornato alle 07:00

Percorrendo l’antica Cassia a sud-ovest di Siena - della nuova da oltre 11 anni c’è soltanto una sfilza di grossi piloni in cemento - appare all’improvviso, sulla sinistra, una torre. È alta 75 metri, ha un diametro di 16. È imponente, strana, e molto nota agli abitanti dei paesi vicini, Isola d’Arbia e Ponte a Tressa.

Conosciuta come la Torre dell’Isola (o anche Torre dei Pomodori), questa sorta di campanile laico gareggia con la Torre del Mangia da cui la separano pochi chilometri. Magnificamente costruita da Pontello nel 1959, è un esempio di architettura industriale molto discusso per la sua collocazione, alle porte della Val d’Orcia, patrimonio Unesco dell’Umanità, e della via Francigena. Lo stabilimento di cui fa parte doveva produrre polvere di pomodoro appunto (da qui il soprannome) ma l’Industria di Disidratazione Isola Tressa (I.D.I.T.) restò in funzione solo per un paio d’anni (1961-1963) mai arrivando a liofilizzare prodotto a regime.

I piloni che, quasi invidiosi, precedono la Torre dei Pomodori, fanno invece parte della variante della SR 2, la Cassia appunto, che dovrebbe congiungere Siena a Monteroni d’Arbia: realizzata al 30% tra il 2010 e il 2012, poi fermata per gravi inadempienze della ditta appaltatrice. Nei pressi dei piloni, la “zona industriale” della Val D’Arbia, dove per ora campeggia solo un enorme capannone bianco: qui un tempo c’erano gli stabilimenti della Ultravox e della Nannini (adesso demoliti), e per anni pareva dovesse nascere un centro commerciale e dove nel giro di 6 mesi è spuntato l’ennesimo centro di smistamento Amazon.

Che questa parte dell’altrimenti splendida Val d’Arbia, terra di ottimi vini bianchi e vin santo e di colline dolci tipicamente toscane, sia un’area economicamente depressa lo confermano anche Bruno e Luca Armini, padre e figlio, che per anni hanno vissuto a Isola nei pressi della Torre. Bruno ha persino lavorato alla sua costruzione. Aveva solo 19 anni. «Ero bravo a saldare», ricorda. «Per questo fui assunto».

Racconta le meraviglie di un impianto elettrico di prima categoria, di un enorme ventilatore «che partiva in 7 scatti» del «filtro di pietra e delle tre vasche di silice che servivano ad assorbire l’umidità». L’aria secca veniva iniettata alla base della torre mentre la polpa di pomodoro veniva spruzzata dall’alto; in fondo, arrivava la polvere. Sebbene le vasche si rigenerassero a temperature molto elevate, continua Bruno, il prodotto veniva lavorato a 33-35 gradi per cui una volta liofilizzato manteneva il contenuto vitaminico. «Non esistevano allora fabbriche che toglievano l’umidità al prodotto a quelle condizioni», aggiunge con gli occhi che gli brillano.

Nel progetto originario, lo stabilimento avrebbe dovuto eseguire tutte le fasi della trasformazione industriale dei pomodori che sarebbero stati coltivati proprio in zona. Doveva nascere insomma un autentico chilometro zero, con piantagioni intensive di pomodori la cui realizzazione non venne mai implementata però; il prodotto polverizzato avrebbe poi consentito di risparmiare sui costi di trasporto e sarebbe partito per i mercati attraverso la ferrovia adiacente. «Invece la polpa arrivava dalla De Rica, dalla Campania», ammette Bruno.

Nato dal progetto di un professore di chimica tedesco (tale Schulze), secondo Armini la Torre Idit polverizzava bene solo il latte. E proprio un bicchiere di latte ottenuto con la polvere prodotta in loco venne offerto al ministro Colombo in occasione dell’inaugurazione in pompa magna dell’I.D.I.T. Nei pochi anni in cui fu in produzione, lo stabilimento impiegava una cinquantina di persone in totale, per lo più donne nel confezionamento. Doveva essere l’inizio dell’industrializzazione della zona. Invece, già nel 1963 la produzione si interrompe. Non si riesce a fare profitto: se si mette troppa polpa di pomodoro il prodotto non si essicca abbastanza.

Allora i tecnici dicevano, continua Armini padre, che per bilanciare i costi di consumo energetico e quindi poter utilizzare una maggior quantità di prodotto alla volta, la torre dovesse essere «50 metri più alta». Forse per ammortizzare i costi dello stabilimento e così utilizzare il demineralizzatore dell’acqua, si comincia la realizzazione di un impianto per la torrefazione del caffè HAG, un corpo adiacente all’hangar e alla Torre, che però non entrerà mai in produzione.

La Idit fu dunque un autentico sogno industrialista da boom economico il cui fallimento economico-commerciale non impedì però la costruzione di una struttura analoga a Mondragone (CS), la Idac Food.

L’attuale amministrazione comunale ha mostrato interesse nei confronti di una possibile valorizzazione della struttura. Il sindaco Luigi De Mossi, appassionato di architettura, ha promosso la mostra fotografica, conclusasi a fine gennaio, L’industria della polvere di Carlo Vigni presso il Museo di Santa Maria della Scala nel centro storico cittadino. Le immagini, in bianco e nero, risalenti a una decina di anni fa, ci restituiscono la Torre da molteplici prospettive. Vigni, che ha fatto le scuole elementari a poche centinaia di metri dalla Torre, mi spiega che per tanti è «un oggetto odiato ma comunque casa». Il territorio della Val d’Arbia non ha grandi punti di riferimento fino a Buonconvento e Montalcino. «Ormai la Torre dei Pomodori è diventata importante nella topografia della zona».

Con struggente affetto la guarda invece Luca Armini. Nato poco dopo l’interruzione della produzione della Idit, per Armini figlio, architetto mancato e tecnico nel settore delle telecomunicazioni, crescere con questa struttura nel proprio orizzonte visivo quotidiano ha significato «girare mezzo mondo per vedere i grattacieli: Hong Kong, Dubai, Stati Uniti, Canada». Una fascinazione a cui non è immune nemmeno l’architetto Giovanni Mezzedemi, che sulla Torre ha realizzato vent’anni fa la propria tesi di laurea su invito del semiologo Omar Calabrese. È comunque contrario a una sua mitizzazione come al suo abbattimento. Non solo per questioni economiche e di smaltimento dei rifiuti ma perché «la Torre dei Pomodori è un genius loci, è oramai il genio di questo luogo».

Venduta all’asta nel 1978 a un privato che da allora ne sta curando la manutenzione, la Torre è in stato di ruderizzazione avanzato, popolata da una ficaia enorme e da piccioni al suo interno. «Resta architettonicamente una struttura validissima», precisa Mezzedemi. «Il cemento utilizzato è di altissima qualità. Le va ridata la destinazione e la dignità che le spetta attraverso una funzione utile alla comunità».

E per l’architetto questo vuol dire, trasformare l’ex-Idit in un grande deposito di arte contemporanea, come illustrava nella sua tesi che poi nei progetti successivi è divenuto un polo multifunzionale per tutte le arti: con il cinema, studi di registrazione musicale e spazi per utilizzo teatrale da sviluppare nell’hangar dello stabilimento. La Torre, continua l’architetto, è di fatto un grande camino e verrebbe sfruttata per la climatizzazione di tutto l’impianto. In cima, la parte che guarda la città ospiterebbe un caffè panoramico raggiungibile con ascensori esterni trasparenti.

Per anni, Mezzedemi ha accompagnato Omar Calabrese nello sviluppo di quest’idea fino alla prematura scomparsa del semiologo. Nell’ottobre del 2021, il progetto preliminare dell’ex-Idit e il Master Plan dell’area di Mezzedemi sono stati presentati dal Comune di Siena alla Regione Toscana. «Stiamo dialogando anche con alcune imprese private che sono interessate al recupero di spazi», fa sapere il Sindaco. «Si tratta di svariati milioni di euro. Per questo dobbiamo fare un’attenta valutazione e creare una sinergia pubblico-privata virtuosa».

«Il costo della riqualificazione dell’ex-Idit era di circa 10 milioni euro (nel 2008) ma adesso siamo al doppio», dice Mezzedemi. A partire dal recupero della Torre dei Pomodori, continua l’architetto, si vorrebbero «ricucire gli aggregati urbani tra Isola d’Arbia e Monteroni».

Uno dei modi è il rafforzamento della linea ferroviaria «con la metropolitana fuori terra e l’utilizzo di parcheggi scambiatori», specifica il Sindaco. Un’idea che continua a essere enunciata ma mai realizzata fin dagli anni Settanta, e che alleggerirebbe il traffico stradale in tutta la zona a sud di Siena. Intanto, i piloni della Nuova Cassia stanno a guardare.