Diritti

Il mondo deve vedere l’orrore della guerra? La parola ai fotografi

Fino a che punto è lecito spingersi, quando mostriamo le immagini dei bambini, dei morti, degli orrori? Il dibattito, aperto dal giurista Guido Scorza sulle nostre pagine, prosegue con le riflessioni di due professionisti: Oliviero Toscani e il fotoreporter inviato in Ucraina Carlo Cozzoli
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 5 min lettura
10 marzo 2022 Aggiornato alle 20:45

C’è stato il bambino in lacrime intervistato dal Guardian mentre racconta di suo padre, rimasto al fronte a combattere contro le forze armate russe. Poi i piccoli di 7, 9 e 11 anni arrestati a Mosca mentre protestavano contro la guerra, fotografati dietro le sbarre. Coloro che scappavano insanguinati dalle macerie dell’ospedale pediatrico di Mariupol, sulla costa meridionale del Paese, bombardato durante la tregua annunciata e tradita dallo stesso Cremlino. E poi la fotografia che rimarrà nella Storia, simbolo di una guerra che colpisce chiunque: quella di Lynsey Addario, pubblicata in prima pagina su New York Times, Repubblica, la Stampa e El País, con una famiglia intera che giace a terra, colpita da una bomba a Irpin, non lontano dalla capitale Kyiv.

Tutte queste immagini, se non in casi isolati, sono state mostrate senza censura, senza alcun pixel che coprisse i volti dei morti e dei feriti. Neanche nel caso dei bambini. Un articolo del Washington Post, firmato dal giornalista Paul Farhi e pubblicato il 9 marzo, spiega “Come i giornalisti decidono quali immagini dell’Ucraina sono troppo orribili da pubblicare”. Prima di pubblicare la foto di Addario, fotogiornalista statunitense già premio Pulitzer nel 2009, la redazione del NYT ne ha discusso. Che si tratti di bambini o adulti, il diritto di cronaca e il dovere di informare prevalgono sul senso di orrore? Sul disagio che i lettori, le lettrici e i parenti delle vittime potrebbero provare nel vedere quelle immagini?

La risposta è stata affermativa, ma non dappertutto: il fotogiornalista torinese Fabio Bucciarelli, vincitore del Wordpress Photo nel 2020 per un servizio realizzato per il settimanale L’Espresso sulle proteste in Cile, ha fotografato la stessa scena per il settimanale tedesco Die Zeit. Ma stavolta la famiglia giaceva sotto due lenzuoli, con braccia e gambe fuori dai teli e nient’altro di visibile.

Secondo Carlo Cozzoli, fotoreporter 28enne piemontese e collaboratore per l’agenzia Fotogramma, raggiunto dalla Svolta, «bisogna sempre avere il rispetto delle persone e della loro dignità, che siano bambini o adulti. Penso che sia necessario avere una cultura dell’immagine per non cadere nella “pornografia” di guerra e, come per le foto sessualmente esplicite, anche in questo caso non mostrare tutto, a volte, lo rende molto più interessante».

Cozzoli è arrivato in Ucraina verso la fine di febbraio. Da lì ha voluto raccontare attraverso la sua Leica la resistenza del popolo impegnato a far fronte all’avanzata russa, dove si mobilitano proprio tutti, anche i bambini di 4 anni che «aiutano a realizzare le tende per i militari, assistono agli addestramenti» ha detto Cozzoli all’agenzia AdnKronos.

Per Cozzoli è tutta questione di delicatezza, di riguardo: «Non dico di censurare il volto di un bambino, perché sono contro questa pratica: bisogna solo avere buon senso. Trovo molto più vergognoso quando si pubblicano in prima pagina foto di minorenni prese senza alcun permesso da Facebook in occasione di omicidi e incidenti: per me equivale a mostrare il cadavere di un bambino in una situazione di guerra».

Guido Scorza, componente del Garante per la protezione dei dati personali, ha scritto sulla Svolta che «c’è un’altra guerra che si sta combattendo in Ucraina, […] quella dei bambini nella dimensione digitale e mediatica». Si combatte su due fronti, spiega, quello della strumentalizzazione inutile dei volti sui giornali, in televisione e sui social network e quella della tempesta di drammatiche immagini che travolgono i più piccoli. «Talvolta, chi usa queste immagini lo fa scientificamente per far leva sul comune senso di umanità delle persone e conferire più forza ed efficacia al messaggio o, anche, semplicemente, ed è, naturalmente, ancora più grave, per raccogliere click, tempo, attenzione degli utenti da rivendere ai propri investitori pubblicitari», ha spiegato Scorza.

Oliviero Toscani, fotografo italiano di fama internazionale, noto per le immagini e le campagne pubblicitarie di grande impatto per famosi brand come Benetton, Robe di Kappa, Chanel e altri, spiega alla Svolta che «conosciamo la guerra attraverso le fotografie. E i bambini non sono altro che uno dei tanti soggetti importanti della condizione e della realtà umane: alcuni sorridono perché sono fortunati, altri no perché sono morti. Ma vanno ritratti in tutte queste situazioni, senza distinzione, senza censura alcuna».

I disastri di questo genere non vanno nascosti, secondo Toscani: «Perché, se si nasconde non esiste? Anche i giornalisti dovrebbero censurare ciò che scrivono, allora? Non possiamo mostrare e guardare solo quello che piace a noi o che ci fa bene: solo chi sta in quelle zone ha diritto di vederle? Io credo di no». Come ha spiegato al Washington Post la direttrice della fotografia del NYT, Meaghan Looram, la fotografia della famiglia di Irpin «era una fotografia che il mondo aveva bisogno di vedere per capire cosa sta succedendo in Ucraina».

La storia della fotografia è piena di immagini che mostrano le crudeltà della guerra, e non solo. Quella di Aylan Kurdi, il bambino siriano annegato e finito su una spiaggia turca nel 2015, finì sulla prima pagina di Indipendent, Wall Street Journal, The Sun e altri senza alcuna censura. Quella foto scosse l’opinione pubblica, che si chiese perché l’Europa non facesse di più per distribuire equamente i rifugiati che si riversavano nella regione. E fu una testimonianza preziosa. Come potrebbe esserlo la fotografia di una famiglia morta sotto le bombe nella prima pagina del New York Times.

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