Diritti

Le creme sbiancanti che alimentano il “colorismo”

Usate da alcune comunità Bipoc per rispondere a canoni ideali di bianchezza, possono contenere mercurio, steroidi e altre sostanze tossiche. Lo denunciano attivistə, associazioni e un rapporto esclusivo diffuso da Cnn
Valeria Pantani
Valeria Pantani giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
10 marzo 2022 Aggiornato alle 14:50

In alcune comunità Bipoc (acronimo per Black, Indigenous and People of Color) è abitudine utilizzare prodotti schiarenti (e tossici) per rendere la pelle più “bianca”. Lo scopo è combattere il colorismo.

Con questo termine si intende un pregiudizio razziale diffuso all’interno di un singolo gruppo etnico, secondo il quale le persone con la pelle più chiara godono di benefici, essendo più vicine al canone ideale di “bianchezza”. «Il colorismo è figlio del razzismo in un mondo che premia la pelle più chiara rispetto a quella più scura», diceva nel 2019 l’attrice Lupita Nyong’o alla Bbc.

In quello stesso anno la British Skin Foundation realizzò uno studio al riguardo, dal quale emerse che un terzo del campione analizzato utilizzava i prodotti schiarenti per motivi estetici. Alcuni avevano dichiarato di essere stati pressati da amici e familiari, mentre altri di aver continuato a utilizzare le creme anche dopo la comparsa di effetti collaterali.

Oggi sui social diversə attivistə cercano di sensibilizzare la propria community sul tema. Pian piano il messaggio è arrivato ai media, tanto che la Cnn ha deciso di lanciare sul proprio sito la sezione “White lies”, dedicata al racconto del colorismo nel mondo (Africa, Asia ma anche Americhe). Proprio come tantə attivistə social, anche l’emittente statunitense considera lo sbiancamento della pelle una minaccia, «mascherata come utile soluzione al “problema” della pelle scura».

Una minaccia in quanto il continuo uso di prodotti schiarenti può portare a gravi conseguenze. Innanzitutto a livello psicologico, perpetuando l’idea razziale per cui “più bianco, meglio è” anche all’interno della propria comunità, ma soprattutto a livello fisico, essendoci in queste lozioni sostanze tossiche quali idrochinone, mercurio e steroidi. Ed è proprio su questo aspetto che si è concentrata la nuova ricerca di Zero Mercury Working Group (ZMWG).

I risultati del rapporto, condivisi in esclusiva con la Cnn, hanno mostrato che diversi prodotti schiarenti contenenti mercurio sono ancora in commercio sulle grandi piattaforme di e-commerce. Come ha riportato l’emittente statunitense, su un totale di 271 prodotti testati dallo ZMWG, il 47% conteneva più del livello consentito di mercurio per i cosmetici.

Eppure, le creme schiarenti rimangono ancora un prodotto importante nel commercio delle comunità Bipoc. L’attivista nera Nogaye Ndiaye ne ha dato una testimonianza la scorsa estate, quando ha documentato con foto e video i prodotti sbiancanti in vendita in Senegal. «Nuova casa = nuove creme schiarenti» scriveva in una storia Instagram, ancora visibile sul suo profilo (leregoledeldirittoperfetto). «E quando dico in tutte le case, intendo veramente in tutte le case».

Alcune donne hanno raccontato ai media la propria esperienza con il colorismo. Nel 2019 Stephanie Yeboah ha scritto sul Guardian: «Ho pregato affinché Dio schiarisse la mia pelle ogni singolo giorno». Un’altra testimonianza è di Promee Tasneem, giovane maestra del Bangladesh, la cui storia è stata stavolta raccontata dalla Cnn per “White Lies”. Nel 2020, qualche mese prima del suo matrimonio, Promee decise di schiarirsi la pelle con alcune delle creme citate nel rapporto di ZMWG. Dopo 7 mesi dal primo utilizzo, iniziò ad avere i primi arrossamenti cutanei. «Anche ora, non posso usare alcuna crema e ho delle macchie rosse dappertutto - ha spiegato alla Cnn - Posso solo raccomandare di non usare queste creme. La bellezza temporanea non vale guai per tutta la vita».

Quando ci si trova al di fuori di certe questioni è difficile capirle appieno. È quindi fondamentale in questi casi ascoltare le testimonianze disponibili, come il racconto di Stephanie o quello di Promee. Nell’era dei social siamo sicuramente avvantaggiati, essendoci moltissime persone Bipoc che parlano di colorismo, di come sia nato e di come dovrebbe essere eliminato. Ma a quanto pare sembra più facile a dirsi che a farsi.

La pagina Instagram Colory.it ha ripreso la questione nel suo post “Cose che sono normali…solo se sei bianc*”, esponendo alcuni dei problemi che le persone Bipoc affrontano quotidianamente anche per il colore della propria pelle. Tra queste, trovare cerotti, collant e trucchi del proprio incarnato oppure dermatologə capaci di riconoscere correttamente le malattie della pelle. Cose che potrebbero sembrare una banalità per le persone bianche.