Diritti

Dasvidania libertà: la stretta della Russia su media e web

Mentre Putin si prepara a disconnettersi da Internet, dal 4 marzo è in vigore la legge contro le fake news sulla guerra in Ucraina. Intanto continuano gli arresti contro le proteste, come racconta a La Svolta il “Greta Thunberg russo”
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7 marzo 2022 Aggiornato alle 15:30

Siamo a un punto di non ritorno in Russia, per i giornalisti, per gli attivisti, per i semplici cittadini, per la libertà, che non esiste più.

La notizia arriva direttamente da Vladimir Putin con la legge che introduce pene fino a 15 anni di carcere per la diffusione di notizie ritenute false sulle azioni militari russe in Ucraina – in precedenza, la legge che modifica il Codice penale era stata approvata all’unanimità dalla Duma, la Camera bassa dell’Assemblea federale della Federazione Russa. Vietato chiamarla guerra. Punto.

Negli ultimi giorni si stima siano 150 i giornalisti che hanno lasciato il Paese: da BBC Russian a Deutsche Welle, dalla Rai all’Ansa. Una fuga forzata per i media stranieri, un punto di non ritorno per quelli nazionali. Il 1° marzo il sito web del canale televisivo russo di opposizione Tv Dozhd (Rain) è stato bloccato, 2 giorni dopo l’annuncio della chiusura seguito da quello della storica radio Ekho Moskvy (l’eco di Mosca).

«La situazione è terribile» commenta a La Svolta Arshak Makichyan, 27 anni, attivista soprannominato “Greta Thunberg russo” per le sue proteste settimanali e silenziose contro la crisi climatica in Piazza Pushkinskaya a Mosca. Per ora rimarrà in Russia, anche se ammette che il futuro sia imprevedibile come le decisioni di Vladimir Putin: «Nessuno si sarebbe aspettato una guerra in Europa, quindi, è davvero difficile pensare cosa possa succedere. Spero che l’inizio del conflitto segni l’inizio della fine del regime di Vladimir Putin».

Pensieri che non potranno più trovare voce sui media indipendenti a causa delle leggi russe sempre più stringenti: nel week-end gli arresti nelle manifestazioni contro la guerra sono stati oltre 5.000. «Dopo il terzo arresto, inizia un procedimento penale» spiega Arshak, che proprio il 24 febbraio, giorno dell’invasione russa, si è sposato con una giovane attivista. Non solo una brutta coincidenza. «Il matrimonio è anche un modo per tutelarci: se uno dei due dovesse essere arrestato, da sposati si può andare a trovare il coniuge in prigione».

E poi la disconnessione con il resto del mondo e la decisione di trasferire tutti i server e domini nella Intranet russa, la RuNet. Non una buona notizia: basti pensare che la penetrazione territoriale di Internet nel Paese è passata dal 33% del 2009 al 76% del 2018. L’85% dei russi utilizza un accesso a Internet con il cellulare per collegarsi prevalentemente ai social media – da venerdì bloccato l’accesso a Facebook e Twitter nel Paese e TikTok ha annunciato la sospensione dei livestreaming e dei nuovi contenuti da parte degli utenti dalla Russia – anche se il più importante è VKontakte, considerato il Facebook russo.

Secondo quanto riportato da un documento firmato dal viceministro dello Sviluppo digitale, comunicazione e mass media Andrei Chernenko, tutte le autorità esecutive federali della Federazione Russa, dovranno attenersi ad alcune “regole”: come l’obbligo di verificare la presenza dell’accesso degli account personali degli amministratori dei domini dei siti pubblici in rete Internet, e cancellare le pagine HTML di tutti i codici Javascript scaricati da risorse estere. In caso di utilizzo di hosting estero, bisognerà spostare le risorse pubbliche posizionate su di esso verso un hosting russo. Come spiega il giornale russo Kommersant, la decisione sarebbe stata presa per proteggere le infrastrutture di Rete dagli attacchi informatici e dalla possibilità di disconnessione dall’esterno, dicendo che non ci sono piani per disconnettere la Russia da Internet. Nonostante non si abbiano ulteriori informazioni sulla RuNet, sarà difficile scappare dalle nuove “linee guida”. Sarà l’ultima strategia di Putin per uscire da Internet o per uscire dal mondo?