Ambiente

Se i rifiuti diventano reperti archeologici

Con le mareggiate, sulle coste di Brindisi ritornano a riva flaconi, giocattoli, gadget di un’altra epoca. Che ci ricordano il ciclo di vita, eterno, di alcuni materiali. Una guida naturalistica pugliese li ha raccolti in una galleria virtuale
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6 marzo 2022 Aggiornato alle 09:00

Volontariato, grande dedizione e amore per l’ambiente: c’è tanto di questo nel museo virtuale che dalle spiagge pugliesi si sta facendo conoscere nel resto del mondo, grazie a quel mix di potere attrattivo ed effetto “pugno nello stomaco” che hanno i suoi reperti in mostra.

Li chiama proprio così Enzo Suma, ideatore di “Archeoplastica”, progetto dal nome evocativo che raccoglie flaconi, giocattoli, bottiglie, boccette databili tra la fine degli anni ’50 e gli anni ’90 che le mareggiate hanno riportato sulla terraferma lungo le coste di Brindisi.

Suma è una guida naturalistica di Ostuni, da diversi anni impegnato con la sua associazione “Millenari di Puglia” nella valorizzazione del territorio, nell’educazione ambientale e nel volontariato naturalistico. Ma da 4 anni a iniziato a catalogare alcuni dei rifiuti trovati nel corso delle sue “raccolte”. Il primo reperto aveva il prezzo in lire.

«Facendo delle ricerche ho dedotto che risaliva alla fine degli anni ’60, l’ho condiviso sui social e mi sono accorto che il ritrovamento destava molta curiosità» racconta Enzo, che grazie al crowdfunding ha successivamente lanciato il progetto “Archeoplastica”: un museo virtuale che mostra i rifiuti in 3d e ne racconta la storia, ma anche sito web che organizza mostre itineranti e incontri con le scuole.

Enzo non si limita a fotografare e schedare gli oggetti, ma cerca di ricostruire le loro storie, e in molti casi, mostrarli corredati dalle pubblicità dell’epoca. Riesce così a evocare le esistenze gloriose di questi prodotti, che dal boom economico in avanti sono entrati nelle nostre case a colpi di design accattivanti e studi di marketing: «Le descrizioni delle foto sono il cuore del progetto, una sorta di esca. All’inizio le persone restano affascinate dal vecchio rifiuto perché è come un amarcord, poi però si rendono conto dell’altra faccia della medaglia».

E qui arriva il pugno allo stomaco: dietro a quell’aria nostalgicamente vintage, con le scritte sbiadite di prezzi in lire e le date di scadenza abbondantemente superate, questi reperti si fanno testimoni (inquietanti) del nostro tempo, dei nostri consumi passati e del futuro traballante del nostro Pianeta. Le superfici graffiate e scolorite sono la testimonianza del lungo viaggio che devono aver fatto in mare, per 30, 40 o 50 anni, prima di tornare sulla terraferma con qualche mareggiata.

Basta scorrere la gallery del sito per farsi un’idea dei danni che l’essere umano può aver fatto al mare nell’ultimo secolo, con l’introduzione della plastica. Non a caso uno dei reperti più antichi e simbolici di questa raccolta è un tappo con la scritta Moplen: «È possibile che risalga alla fine degli anni ‘50, quando è stato realizzato il polipropilene, dalla ditta Montecatini. Segna un momento della storia importante: l’entrata della plastica nella casa di tutti gli italiani».

Il progetto è una goccia nel mare, ma ha un alto valore simbolico e sociale: «Noi raccogliamo la macro plastica, mostriamo i rifiuti integri, ma ovviamente troviamo anche una grande quantità di rifiuti ridotti in pezzi, per non parlare dei frammenti microscopici». Ben presto altri 500 rifiuti saranno inseriti nel museo virtuale, mentre Enzo prosegue incessante le attività di raccolta e di racconto. L’ultima, in ordine di tempo, è quella di un flacone a forma di orsetto che grazie anche al tam tam sui social, ha scoperto provenire dall’Albania. Un rifiuto che, dopo questo lungo viaggio, si è trasformato in una storia a lieto fine: nell’andare a recuperarlo Enzo ha trovato una tartaruga che sembrava destinata a morte certa. Athena - questo il nome che le hanno dato - attualmente è in cura in un centro di recupero e presto tornerà in libertà.

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