Economia

Ora serve un piano energetico d’emergenza

Vedere qualche pannello in più sui tetti delle nostre città o dire sì agli impianti di biogas non è un sacrificio. Piuttosto, dice l’opinionista, un servizio per il nostro Paese per garantirci autonomia e fermare la crisi climatica
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4 marzo 2022 Aggiornato alle 08:00

«Con le fonti fossili abbiamo nutrito dittatori psicopatici che usano quei soldi per uccidere la gente e distruggere l’ambiente». Queste le parole dello scienziato ucraino Roman Shakhmatenko durante la conferenza dell’IPCC per lanciare il nuovo report sul clima. In collegamento da un rifugio anti-bombe le sue parole sono risuonate come piombo.

Un bagno di verità per l’Europa la cui dipendenza dal gas russo (ma anche dal petrolio saudita, o dagli idrocarburi libici) è una grande vulnerabilità geopolitica.

Alla base di questa instabilità c’è stata la mancanza di un piano energetico europeo di lungo respiro che sapesse mettere al centro le fonti rinnovabili, il risparmio energetico e un’industria dell’energia, dalle gigafactory alla ricerca sulla fusione nucleare, con un piano di dismissione del metano (magari impiegando anche riserve nostrane, ma con data di scadenza).

Non è troppo tardi però. Se formalmente non siamo in guerra, inteso come scontro militare diretto tra nazioni, siamo indubbiamente nel pieno di quello che si può definire un conflitto finanziario-energetico ad alta intensità. Una situazione non pienamente compresa dalla politica italiana, che arranca tra dichiarazioni degli ex-filoputiniani, frasi di convenienza e interessati spin doctor dell’atomo.

Sono cambiati gli assetti mondiali, avvicinando il mondo pericolosamente verso un conflitto nucleare. La Russia sopravvivrà vendendo il gas alla Cina, pronta ad avviare un nuovo gasdotto con Gazprom, anche se severamente messa in ginocchio dalle sanzioni.

Dunque, coinvolta in pieno da questo conflitto, l’Unione Europea deve avviare con la massima urgenza una rivoluzione energetica senza precedenti.

A disegnare la road map ci prova una bozza di piano energetico di emergenza ottenuta martedì da Euractiv. Una strategia con due anime. Una che spinge troppo su diversificazione dell’approvvigionamento del gas, sfruttamento dei giacimenti nazionali e del gas naturale liquido (LNG), che però richiede importanti investimenti in rigassificatori e tempi molto lunghi. Grande ruolo per il biogas, che secondo il piano della Commissione potrebbe contribuire fino a 35 miliardi di metri cubici al 2030.

L’altra, ambiziosa, che punta su un new energy compact, per «aumentare l’energia rinnovabile in Europa mobilitando ulteriori investimenti, rimuovendo gli ostacoli all’introduzione delle energie rinnovabili e consentendo ai consumatori di svolgere un ruolo attivo nel mercato energetico». Secondo la bozza servirà usare le risorse provenienti dal mercato delle emissioni, utilizzando gli extra-profitti legati ai prezzi per favorire la produzione da rinnovabili, eliminando le “procedure amministrative troppo complesse”, come le procedure di autorizzazione, che ritardano gli investimenti nelle energie rinnovabili.

Per attuare il new energy compact serve dichiarare un’emergenza nazionale che dia agli impianti rinnovabili la massima priorità, partendo dalla liberalizzazione dell’installazione del fotovoltaico su tutti i tetti delle case e delle imprese, spingendo per la nascita di comunità energetiche ovunque, con buona pace di chi da la priorità al paesaggio su tutto e chi continua a frenare su eolico e solare.

In un Paese dai bizantinismi burocratici e delle associazioni che bloccano le piste ciclabili nei parchi urbani, serve un approccio radicale, e per questo approvato da una amplia maggioranza del parlamento e con il sostegno dei cittadini. Quale cittadino non vorrebbe perseguire l’autonomia energetica?

Si alzeranno cori di dittatura del watt, di nazi-ambientalismo da canuti signori da troppo tempo sotto i riflettori dei media. La chiave di lettura invece – ne prendano nota i politici – dovrà essere la seguente: come cittadini dobbiamo fare uno sforzo per un bene più grande, quello della pace, della libertà e del diritto a un ambiente sano e sicuro.

Oggi per resistere alla follia di Putin, gli Ucraini combattono una lotta senza quartiere, scendono in strada disarmati in massa per bloccare i carrarmati, si rifugiano nelle stazioni della metropolitana per sfuggire alle bombe, scappano oltre i confini nazionali in cerca di salvezza lasciando tutto indietro.

A noi italiani viene chiesto di vedere qualche pannello in più sui tetti delle nostre città, di abbassare il termostato a 17-18°C, di dire sì agli impianti di biogas, di avere un poco di sobrietà nei consumi, di considerare di usare di più la bici, di indossare un maglione caldo in casa e investire in efficientamento energetico.

Non possiamo nemmeno definirlo sacrificio. Semmai un servizio per il Paese per fermare Putin, per garantire la nostra autonomia energetica e per fermare la crisi climatica. Un contributo alla lotta di chi soffre sotto le bombe e una garanzia affinché un giorno sotto le bombe (o sotto la violenza del climate change) non ci finisca l’Italia.

Non basta però: anche le rinnovabili soffrono la dipendenza da altre materie prime, dal cobalto al litio. Per questo serve un’economia circolare, dove riciclare tutte le componenti, del settore energetico: batterie pannelli solari, rifiuti elettronici, pale eoliche. Investire in un’economia circolare energetica è fondamentale per sostenere sul lungo termine il servizio dei cittadini che abbracceranno le rinnovabili.

Serve un grande sforzo che metta insieme, oltre che cittadini e cittadine, le menti del nostro Paese, dai ricercatori del CNR ed ENEA agli esperti di politica industriale, come Catia Bastioli o Francesco Starace. Saprà Draghi creare una task force degna della sfida che abbiamo davanti, relegando i dinosauri delle fossili al passato che tanto adorano?

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