Diritti

Neanche le bombe riescono a fermare il razzismo

Migliaia di cittadini non europei che vivono in Ucraina stanno tentando, invano o con molte difficoltà, di attraversare i confini del Paese: ma alla frontiera i trattamenti non sono uguali per tutti
Cittadini stranieri in fuga ai valichi di frontiera ucraini: anche l'Unhcr ha condannato gli episodi di razzismo.
Cittadini stranieri in fuga ai valichi di frontiera ucraini: anche l'Unhcr ha condannato gli episodi di razzismo.
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 6 min lettura
2 marzo 2022 Aggiornato alle 18:25

Esistono popoli più degni di solidarietà di altri? Qual è la scala di valori che ne rende alcuni più bisognosi? Non è bastata la condanna da parte dell’Unione africana degli episodi di discriminazione razziale nei confronti degli africani che tentavano di fuggire dal conflitto in Ucraina, dopo l’invasione delle truppe russe iniziata all’alba del 24 febbraio. È servita anche la conferma, qualche giorno dopo, di Nazioni Unite e UNHCR per dare rilevanza e veridicità alla situazione che stava affliggendo le persone non bianche, non ucraine, che fuggivano dal Paese.

«I Presidenti esortano tutti i Paesi a rispettare il diritto internazionale e mostrare la stessa empatia e sostegno a tutte le persone in fuga dalla guerra nonostante la loro identità razziale» hanno dichiarato, lunedì, il presidente senegalese Macky Sall, leader dell’Unione africana, e il presidente della Commissione dell’Ua Moussa Faki Mahamat.

Loredane Tshilombo, 28 anni, ha visto le prime testimonianze tra il 26 e il 27 febbraio, su Twitter: «C’erano studenti nigeriani e indiani che venivano respinti alle frontiere e avevano difficoltà ad accedere ai trasporti per raggiungere l’Ungheria e la Polonia. I video erano chiarissimi: veniva data la precedenza alle persone bianche».

Tshilombo, nata nella Repubblica Democratica del Congo e cresciuta a Milano, è stata una delle prime a mostrare le immagini dei respingimenti: «Il fatto che siano stati denunciati solo grazie ai social mi rassicura, perché nessuna istituzione o media mainstream se ne stava occupando, ma al tempo stesso mi preoccupa: come succede nel quotidiano, quando ci si lamenta da persona nera o persona “razzializzata”, è sempre e solo un lamento, mai un fatto. La verità è che ci sono dei fatti oggettivi di discriminazione e non parlarne subito è stato l’ennesimo tentativo di invisibilizzare le persone».

La razzializzazione è “il processo attraverso cui un gruppo dominante attribuisce caratteristiche razziali, disumanizzanti e inferiorizzanti a un gruppo dominato attraverso forme di violenza diretta e/o istituzionale che producono una condizione di sfruttamento ed esclusione materiale e simbolica”: lo ha spiegato Angelica Pesarini, docente di Sociologia alla New York University di Firenze. Il white priviledge, ovvero il privilegio dei bianchi, non si ferma nemmeno di fronte alla guerra: in Polonia c’è chi ha chiesto il visto alle persone in base al colore della loro pelle, mentre tentavano di fuggire da una guerra che, invece, non fa discriminazioni.

Come Loredane Tshilombo, anche Nogaye Ndiaye, 24 anni, parla di queste tematiche sulla sua pagina Instagram, “leregoledeldirittoperfetto”, che gestisce da circa un anno e mezzo: «Sono una studentessa di Giurisprudenza che parla di diritti e che non accetta più che certi comportamenti vengano reputati normali». Quando ha condiviso il primo video sulla situazione alla frontiera, ha ricevuto vari commenti critici: «Mi hanno scritto “Ti sembra il momento adatto? Non è questo il problema”. E invece è proprio adesso che bisogna parlarne, si tratta di trattamenti palesemente diversi e discriminatori».

Il sito d’informazione The East African racconta che Kenya, Etiopia, Uganda, Ghana e Ruanda hanno annunciato di essere in trattative con numerosi Paesi dell’Unione europea per concedere permessi temporanei ai propri cittadini per aiutarli a fuggire dalla guerra. Venerdì scorso le autorità polacche hanno rilasciato una dichiarazione che consente agli stranieri di vivere nel loro territorio fino a 15 giorni senza visto o senza la necessità di presentare un certificato Covid-19. Ma, lunedì, le autorità ucraine sono state accusate di aver discriminato gli africani e di aver impedito loro di andarsene. «Un video mostrava una ragazza bianca che veniva fatta passare davanti a un gruppo di persone nere che aspettavano il loro turno» spiega Tshilombo.

Alcune testimonianze raccolte dalla piattaforma video francese Brut mostrano alcune ragazze fermate alla frontiera tra Polonia e Ucraina: «Hanno radunato i neri, ci hanno messo insieme in un angolo» racconta una di loro. «Si può parlare di persone di serie A e persone di serie B, e non aver dato credito fin da subito a questi racconti e ai video che circolavano sui social è un chiaro e lampante atto discriminatorio anche da parte delle istituzioni» spiega Loredane Tshilombo. «Sapere che è meglio condividere qualcosa su Twitter, piuttosto che chiedere aiuto all’istituzione più vicina che ho, perché almeno so che avrò una risposta, anche in tempi brevi, è sconfortante».

A quasi 2 anni dalla morte di George Floyd e dal rapido sviluppo globale del movimento Black Lives Matter, gli episodi discriminatori continuano senza sosta: «E non parlo solo della comunità nera, questo razzismo sistemico prende di mira tutte le comunità escluse dalla visione bianco centrica degli Occidentali: abbiamo una lista continua di persone che muoiono ai nostri confini, dentro i nostri Centri di Permanenza per i Rimpatri, dentro strutture che di legale hanno sempre meno».

Nogaye Ndiaye non trova neanche le parole per descrivere questa situazione: «Si tratta di un razzismo troppo interiorizzato, che ci fa stabilire la provenienza di qualcuno solo a partire dal colore della sua pelle: perché se io non riesco a concepire che una persona nera possa essere italiana, ucraina, rumena o di un’altra nazionalità, vuol dire che ho un problema. E pensare di salvare una persona in base alla sua cittadinanza, è una cosa barbara». E la divulgazione di queste notizie dovrebbe passare attraverso mezzi accessibili a tutti: «Instagram non basta e i social sono pieni di odio e fake news, vanno dosati con cura» spiega ancora Ndiaye.

Negli ultimi giorni, però, molti media statunitensi hanno dato spazio a ospiti e giornalisti che hanno avuto un approccio razzista all’informazione, definendo il popolo ucraino più degno di solidarietà di altri, come siriani o iracheni, perché più civilizzato e vicino all’Europa. «La cosa più grave in questi casi, oltre alla comunicazione in sé, è il fatto che queste persone non vengano interrotte da nessuno: poi, una volta finito il servizio o il collegamento, arrivano le scuse. Ma il danno ormai è fatto» spiega Tshilombo. Ndiaye parla del principio di uguaglianza totalmente assente, che invece dovrebbe essere un principio cardine anche nel racconto dei conflitti: «Questo doppio trattamento c’è da moltissimo tempo e purtroppo non mi stupisce più».

Molte delle persone che hanno tentato di lasciare il Paese, come una studentessa di medicina di 24 anni del Kenya, hanno aspettato ore prima di passare la frontiera. Alcune addirittura giorni. Altre sono state respinte anche dagli hotel che offrivano alloggi gratuiti agli ucraini. I funzionari ucraini e polacchi affermano che tutti i rifugiati sono i benvenuti.